1. Gli atti di chi?
Oggi cominciamo uno studio sul libro intitolato “Atti degli Apostoli”. Così partiamo già male. Ricordiamoci che i titoli dei libri biblici non sono stati ispirati. Non fanno parte dei manoscritti originali, e quindi non esito a dire che “Atti degli Apostoli” è fuorviante. È fuorviante nel senso che, mentre non del tutto sbagliato (in quanto il libro ne parla) focalizza l’attenzione soprattutto sugli atti “degli apostoli”. Se, però, leggiamo attentamente quello che Luca, l’autore del libro, dice all’inizio, ci accorgiamo subito che l’argomento principale è ben diverso: questi sono gli atti non tanto degli apostoli quanto di Gesù Cristo.
Al primo versetto, Luca, rivolgendosi a un certo Teofilo, gli ricorda del “primo libro” che ha scritto — ovvero l’omonimo vangelo anch’esso indirizzato a Teofilo (Luca 1:1-4) — in cui ha parlato “di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare…”. Questa frase lascia intendere che il secondo libro — il secondo volume di un’unica opera che alcuni chiamano “Luca-Atti” — riporta ciò che Gesù “continuò” a fare e a insegnare. Notiamo, infatti, come i primi versetti di Atti riprendano il finale del vangelo di Luca che conclude con l’ascensione di Gesù:
Luca 24:50 Poi li condusse fuori fin presso Betania; e, alzate in alto le mani, li benedisse. 51 Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato su nel cielo. 52 Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; 53 e stavano sempre nel tempio, benedicendo Dio.
In questo modo, Luca fa capire che la sua intenzione è quella di proseguire la stessa narrativa anziché iniziarne una nuova. Se il primo libro tratta di quello che Gesù “cominciò” a fare, questo secondo libro tratta di quello che Gesù “continuò” a fare. Sarebbe meglio, dunque, cambiare il titolo del libro da “Atti degli Apostoli” in “Atti di Gesù Cristo”.
2. La scelta del nuovo apostolo
A conferma di ciò, Luca riferisce, nella seconda parte del primo capitolo, la scelta di Mattia come apostolo al posto di Giuda. Dopo che Gesù ascende in cielo, i centoventi discepoli di Gesù si trovano insieme a pregare e ad aspettare la venuta dello Spirito Santo, come infatti Gesù gli aveva ordinato di fare. In questo contesto, Pietro si alza e, in base alle Scritture che profetizzavano il tradimento di Gesù da parte di Giuda, afferma il bisogno di scegliere un altro apostolo per sostituirlo:
21 Bisogna dunque che tra gli uomini che sono stati in nostra compagnia tutto il tempo che il Signore Gesù visse con noi, 22 a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno che egli, tolto da noi, è stato elevato in cielo, uno diventi testimone con noi della sua risurrezione.
“Bisogna dunque che … uno diventi testimone con noi”, in parte perché Salmo 109:8 ha previsto questa necessità (“Il suo incarico lo prenda un altro”), ma anche perché il numero degli apostoli deve corrispondere al numero delle tribù d’Israele come rappresentazione della redenzione del popolo ebraico, il che era parte integrante delle promesse veterotestamentarie che il Messia doveva adempiere. Senza dodici apostoli, la loro testimonianza sarebbe stata compromessa. Perciò, due uomini vengono presentati alla comunità dei discepoli, due che hanno i requisiti di essere stati tra i discepoli “a cominciare dal battesimo di Giovanni” e così un testimone oculare a “tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare”.
Ciò che è importante osservare a questo punto e come la scelta avviene. Non sono i centoventi discepoli a decidere, nemmeno gli undici apostoli e neanche Pietro (che, tra l’altro, ci si aspetterebbe se egli fosse stato il primo papa del dogma cattolico-romano). La modalità è chiara: pregano e chiedono al “Signore” — che in questo contesto non può essere altro che Gesù stesso — di mostrare loro “quale di questi due hai scelto” (v.24). L’utilizzo delle sorte (che potrebbe rialacciarsi al discorso del Urim e del Thummim portati dal sommo sacerdote e usati per capire la volontà di Dio — Esodo 28:30, 1 Samuele 14:41) ha proprio questo scopo, di lasciare a Gesù il diritto di rivelare la sua decisione. Ed è così che Mattia si unisce ai dodici, quando la sorte cade su di lui, indicando colui che il Signore ha scelto.
In questo modo, il capitolo finisce come inizia, in quanto Luca ricorda come nel suo primo libro ha parlato…
1 … di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare 2 fino al giorno che fu elevato in cielo, dopo aver dato mediante lo Spirito Santo delle istruzioni agli apostoli che aveva scelti.
Evidenziando qui il fatto che sia stato Gesù a scegliere gli apostoli precedentemente, Luca fa vedere come sia stato di nuovo Gesù, nonostante la sua “assenza”, a scegliere il sostituto di Giuda. Non è che dopo la dipartita di Gesù, siano gli apostoli a dover subentrare al suo posto per ricoprire il ruolo da lui abbandonato. Lo stesso Gesù che ha scelto gli apostoli quando era fisicamente presente tra loro è sempre colui che li sceglie anche adesso dopo la sua ascensione in cielo.
3. La missione degli apostoli
Questa osservazione non solo rimarca quanto detto prima riguardo al titolo del libro, ma indica anche come dobbiamo leggere tutto quello che segue, e costituisce l’ottica per mezzo della quale dobbiamo concepire la nostra esistenza ed esperienza attuali come continuazione della stessa comunità di discepoli. Il libro di Atti è, dopotutto, solo il primo “capitolo” della stessa narrativa in cui stiamo vivendo adesso e in cui altre generazioni vivranno finché Gesù non “ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo” (1:11). Questa, infatti, è la nostra storia, e la maniera in cui comprendiamo la storia di Atti determinerà come comprenderemo la parte che noi abbiamo da svolgere.
Fondamentalmente, se pensiamo a Gesù come se fosse assente (un po’ come gli apostoli che all’inizio stavano a guardare il cielo), continueremo a chiamare questo libro “Atti degli Apostoli” e a considerare come nostro compito (oppure quello di qualcun altro come il prete o la chiesa) quello di riempire il vuoto lasciato da Gesù. Se, invece, permettiamo a questo libro di modellare il nostro pensare a sua immagine e se, come abbiamo già accennato, viviamo con una risoluta fiducia nella presenza e nell’attività di Gesù nonostante la sua apparente assenza, cambieranno radicalmente tutti i nostri modi di concepire la chiesa e la nostra missione come discepoli. Noi che in Italia siamo condizionati dalla tradizione cattolica-romana che fonda la sua teologia della chiesa mediatrice appunto sull’assenza di Cristo (come fa, per estensione, rispetto alle dottrine della mediazione di Maria e dei santi, dell’Eucaristia e del papato), l’enfasi di Atti sulla presenza di Cristo avrà su di noi un impatto non indifferente.
Consideriamo, dunque, il cuore del primo capitolo di Atti, cioè i versetti 4-11. Chiamo questa parte il “cuore” del capitolo perché è qui che Luca riferisce le ultime parole di Gesù agli apostoli prima di salire in cielo, le quali costituiscono le sue ultime istruzioni e il punto di lancio per tutto il libro che segue. Questi versetti, e in particolare v.8, fungono da “cartina” per il resto del libro che traccerà il movimento della testimonianza apostolica da Gerusalemme in tutta la Giudea e Samaria, e poi fino all’estremità della terra, rappresentata da Roma, il centro del potere imperiale, dove Paolo, alla fine, si trova “proclamando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo con tutta franchezza e senza impedimento” (28:31).
Il libro di Atti inizia e finisce, quindi, con il Signore Gesù Cristo e l’annuncio del suo regno. Questo è infatti il tema principale dell’insegnamento di Gesù agli apostoli durante i quaranta giorni trascorsi dopo la risurrezione fino all’ascensione:
1:3 Ai quali anche, dopo che ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro per quaranta giorni, parlando delle cose relative al regno di Dio.
Questo non dovrebbe sorprendere chi, come Teofilo, ha già letto il primo libro di Luca, perché in esso si narra come Gesù, dalla sua nascita al suo ministero pubblico e culminando alla croce e alla risurrezione, ha rivelato, inaugurato e stabilito il regno di Dio come adempimento di “tutte le cose scritte … nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi” (Luca 24:44). Non è neanche sorprendente quando, al v.6 di Atti 1, gli apostoli chiedono a Gesù: “Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?”, il che costituiva una promessa importante nelle Scritture. Questa domanda non è da intendere in senso negativo (come fanno alcuni), come se gli apostoli parlassero di un sogno nazionalistico molto diverso da quello che Gesù insegnava.
Basta dare un’occhiata in avanti, al capitolo 15 di Atti, per smentire questa interpretazione. Atti 15 riporta la conferenza tenuta a Gerusalemme provocata da alcuni cristiani giudaici che imponevano ai cristiani gentili l’obbligo di essere circoncisi e di osservare la legge di Mosè (15:1-5). Gli apostoli si riuniscono a Gerusalemme per fare il punto della situazione. Dopo “una vivace discussione” (v.7), Giacomo, fratello di Gesù e leader della chiesa di Gerusalemme, cita il profeta Amos dove era scritta la seguente promessa del Signore:
15:16 Dopo queste cose ritornerò e ricostruirò la tenda di Davide, che è caduta; e restaurerò le sue rovine e la rimetterò in piedi, 17 affinché il rimanente degli uomini e tutte le nazioni, su cui è invocato il mio nome, cerchino il Signore…
Giacomo si riferisce a questa profezia per sostenere l’affermazione di Paolo, Barnaba e Pietro che “Dio all’inizio ha voluto scegliersi tra gli stranieri un popolo consacrato al suo nome” e che dunque non bisogna “turbare gli stranieri che si convertono a Dio” (15:14, 19). La cosa importante da osservare è che la promessa di Dio tramite Amos — la quale ha convinto tutti quelli lì riuniti da non imporre la circoncisione e la legge di Mosè ai credenti non ebraici — indicava che la ricostruzione della “tenda di Davide”, ossia il restauro del regno a Israele sotto la monarchia davidica, avrebbe avuto come effetto la conversione del “rimanente degli uomini e tutte le nazioni” al Signore.
Quando, dunque, gli apostoli domandano a Gesù se “è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?”, essi esprimono la speranza che concerne Israele come popolo, sì, ma che riguarda molto di più, ovvero la promessa (a cui Pietro poi si riferisce in Atti 3:25) che nella discendenza di Abraamo “tutte le nazioni della terra saranno bendette”. Che Gesù stesso non contraddica gli apostoli o li rimproveri per la loro incomprensione (come ha già fatto tante altre volte nel vangelo!) dimostra che il loro quesito non è fuori luogo. Gesù è, infatti, il figlio di Davide e l’erede del suo trono.
Secondo Gesù, ciò che non spetta agli apostoli di sapere non è il regno ristabilito a Israele (che Gesù senz’altro ha inaugurato), ma piuttosto “i tempi o i momenti che il Padre ha riservato alla propria autorità” (v.7). Gli apostoli, in altre parole, non devono guardare il calendario o l’orologio, per così dire, bensì devono occuparsi della missione che Gesù sta per affidargli, quella di essere i suoi testimoni “in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (v.8). La domanda giusta non è quando ma come il regno verrà, e la risposta di Gesù è questa: per mezzo della vostra testimonianza.
4. La presenza dell’Assente
Attenzione, però! Non dobbiamo intendere le parole di Gesù nel senso sbagliato di prima, cioè che Gesù sta per assentarsi dalla terra, e così toccherà agli apostoli (e poi ai loro successori) supplire alla sua mancanza. Da questo testo impariamo che, anche se in forma diversa dopo la sua ascensione, Gesù rimane presente e attivo, sempre il Signore, sempre il Salvatore, sempre il vero Re-Sacerdote-Profeta e Capo della sua chiesa che nessuno deve o può sostituire. Luca ci fa capire questo in tre modi importanti.
Lo Spirito Santo
Il primo è la venuta dello Spirito Santo di cui Gesù parla ai vv.4-5 come “l’attuazione della promessa del Padre” e il battesimo del quale quello di Giovanni è stato la prefigurazione. La “promessa del Padre” risale all’Antico Testamento, dove era parte centrale del nesso di speranze di ciò che il Signore avrebbe fatto per redimere Israele e benedire tutte le nazioni. Mentre la presenza di Dio dimorava allora nel tempio, nel luogo santissimo che solo il sommo sacerdote poteva entrare una volta all’anno, Dio ha promesso che avrebbe fatto del suo popolo un tempio, santificandolo e facendo dimorare il suo Spirito non solo con loro ma proprio dentro di loro (a.es. Ezechiele 36:24-27).
Poi, quando Giovanni battezzava con acqua, egli dichiarava che il suo era solo un battesimo simbolico, e che il battesimo vero, cioè “in Spirito Santo e fuoco”, avrebbe portato colui a cui Giovanni preparava la via, ovvero il Messia Gesù. Questo è proprio ciò che avviene il giorno della Pentecoste quando, al capitolo 2 di Atti:
3 Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. 4 Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parla in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi.
Poi al v.33, Pietro spiega nel suo sermone che è stato Gesù che…
… essendo stato esaltato alla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite.
Il punto è questo: Gesù è stato elevato in cielo e, come dice al 1:9, sottratto agli sguardi degli apostoli; tuttavia, questo gli ha permesso di spargere lo Spirito nei suoi seguaci in modo da essergli ancora più vicino. Mentre era con loro fisicamente, era appunto solo “con” loro, ma da ora in poi, egli per mezzo dello Spirito è “in” loro e anche in tutti quelli che, come Pietro annuncia alla fine del suo sermone, si ravvedono e si battezzano nel nome di Gesù Cristo (2:38). Ecco perché Paolo, in Galati 2:20, può dire che “Cristo vive in me”. Che grande benedizione!
Gli apostoli come testimoni
Il secondo modo in cui vediamo la non-diminuita presenza di Gesù dopo la sua ascensione è nell’incarico affidato agli apostoli al 1:8: “mi sarete testimoni”. Questo è lo stesso termine che Pietro usa per descrivere gli apostoli al v.22, e poi anche nel suo sermone al capitolo 2:
32 Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò noi tutti siamo testimoni.
Ora, un testimone non è l’attore principale di una determinata vicenda; piuttosto è la persona chiamata solo per dare conferma o prova di quello a cui ha assistito. L’azione di cui rende testimonianza è stata compiuta da qualcun altro. In questo senso, la parola “testimone” calza perfettamente al ruolo degli apostoli. Dopo la sua ascensione, Gesù non ha bisogno di mediatori o di vicari per fare le sue veci perché egli rimane sempre il protagonista e l’attore principale di questa storia. La chiesa che nasce a Pentecoste non è nemmeno una specie di “prolungamento dell’incarnazione” (come la concepisce la teologia cattolica-romana), in quanto Gesù resta sempre Emmanuele, Dio con noi, per mezzo del suo Spirito. Ecco perché tanti anni dopo l’ascensione, Paolo scrive in 1 Timoteo 2:5 che ancora c’è “un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo”.
Anche lo stesso Luca non ci lascia dubitare. Alla fine del capitolo 2, dopo il sermone di Pietro da cui risulta la nascita della chiesa, Luca aggiunge questo commento:
47 … Il Signore aggiungeva al loro numero ogni giorno quelli che venivano salvati.
Il Signore! Non Pietro, non gli altri apostoli, ma il Signore Gesù stesso era all’opera per salvare le persone. Fisicamente non si poteva vedere, ma non per questo era assente o inattivo! Anzi, sono in più le persone convertite dopo la sua ascensione che prima, mentre camminava per le vie della Galilea! Ecco perché, ancora una volta, vediamo che questo libro dovrebbe essere intitolato “Atti di Gesù Cristo”, perché è sempre lui, e solo lui, che edifica la sua chiesa!
Il significato dell’ascensione
Infine, il terzo modo in cui vediamo la presenza del Gesù “assente” è proprio nel significato dell’ascensione stessa. Non è casuale la ripetizione del termine “elevato” per descrivere l’ascensione ai vv. 2, 9, 11, e 22. Questo “elevato” corrisponde a quello che Pietro dichiara al 2:33:
33 Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite.
Pietro prosegue parlando di Davide che è rimasto nella tomba e “non è salito in cielo” ma, nel Salmo 110, aveva scritto del suo Figlio che si sarebbe seduto alla destra di Dio come Signore. La conclusione di tutto ciò è, come afferma Pietro al 2:36:
Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso.
In Atti 1-2, dunque, l’ascensione di Gesù è presentata non tanto come il suo assentarsi dalla terra quanto come il suo insediamento sul trono dell’universo in cielo. Se il cosmo avesse una “sala di controllo”, sarebbe laddove Gesù siede ora alla destra del Padre. Gesù è stato “tolto” ed “elevato” in cielo, sì, ma è successo affinché egli potesse diventare più attivo che mai sulla terra! Da dove egli è adesso, regna e opera non solo nella Galilea e nella Giudea (le regioni in cui le attività erano maggiormente limitate prima della crocifissione), ma fino alle estremità della terra! Il libro di Atti n’è la conferma in quanto riferisce l’adempimento delle parole di Gesù al 1:8 fino ad arrivare a Roma dove Paolo annuncia Gesù quale Signore proprio nel cuore del potere imperiale e sotto il naso dell’imperatore!
Il punto di tutto ciò dovrebbe essere ovvio: pur essendo in un certo senso “assente”, Gesù è, in realtà, più presente e attivo che mai, operando per mezzo del suo Spirito e della testimonianza dei suoi seguaci per diffondere la sua parola, per benedire le nazioni e per rivelare il suo regno in ogni parte della terra.
5. Conclusione
In conclusione, ci sono tantissime cose che potremmo dire che ci riguardano personalmente. Quello che abbiamo imparato oggi ha conseguenze radicali su ogni aspetto della nostra vita, nonché su tutto il mondo. Ridimensiona il modo in cui leggiamo il giornale e interpretiamo gli avvenimenti politici. Influisce sul tipo di ragione che ci facciamo dei mali e delle guerre che affliggono la terra, e ci ravviva la speranza nonostante tutte le vicissitudini e problematiche della vita. Ma quello su cui voglio concentrarmi è proprio l’impatto sulla comunità cristiana, su come si concepisce, si organizza e si gestisce. Il libro di Atti avrà più da insegnarci in proposito, ma possiamo già fare qualche osservazione.
Ho già accennato alle differenze tra le tradizioni cattolica-romana e quella evangelica. La prima è la chiesa organizzata sul principio del “Gesù assente” mentre la seconda è la chiesa organizzata sul principio di Gesù fisicamente assente, sì, ma tramite lo Spirito più presente e attivo che mai, il quale è il punto di partenza del libro di Atti. Solo se Gesù è assente nel senso di aver in effetti “abdicato” ai suoi ruoli quali Sacerdote, Re e Profeta subentrerà la chiesa a riempire il vuoto con i propri sacerdoti, la propria gerarchia d’autorità e il proprio magistero d’insegnamento. Solo se Gesù non è il sempre attivo Capo e Pastore della chiesa, ci sarà bisogno di un “vicario” come il papa per rappresentarlo. Solo se Gesù non è già presente in mezzo alla sua chiesa ci sarà la necessità di renderlo presente attraverso il rito dell’Eucaristia.
Se, però, affermiamo, come in Atti, la reale presenza di Cristo e la sua costante attività nella chiesa, ci accorgeremo che non possiamo — e quindi non dobbiamo neanche cercare di — sostituirlo con nessun altro: nessun pastore, nessun anziano, nessun prete, nessun diacono, nessun insegnante. Gesù ha certamente dato alla chiesa persone che svolgono ruoli di guida e di insegnamento, ma alla fine questi non hanno nessuna funzione se non in qualità di meri testimoni a colui che è il vero Pastore, il vero Insegnante, il vero Conduttore della chiesa.
La pretesa che ci debba essere una figura nella chiesa come il papa, il vescovo o il sacerdote — come la concepisce la tradizione cattolica-romana — è fondamentalmente una mancanza di fede e di fiducia in Gesù che ancora fa tutto questo in e per la sua chiesa. La comunità cristiana riunita deve avere un senso tangibile, palpabile, della presenza e dell’attività di Gesù nel suo mezzo, e deve risposarsi in tutto ciò che egli è e fa per lei. Non c’è infatti mediatore più efficace, capo più elevato, signore più autorevole, pastore più tenero e fonte di grazia più abbondante che Gesù Cristo che, alla fine del vangelo di Matteo, ha promesso: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (28:20). Cosa di più potremmo desiderare? Poiché Gesù è il nostro Pastore sempre presente e sempre attivo, possiamo affermare insieme al salmista: “Nulla mi manca” (Salmo 23:1).
Amen!