Genesi 49:28-50:26: Morti Nella Fede

49:28 Tutti costoro sono gli antenati delle dodici tribù d’Israele; questo è ciò che il loro padre disse loro, quando li benedisse. Li benedisse, dando a ciascuno la sua benedizione particolare. 29 Poi diede loro i suoi ordini e disse: «Io sto per essere riunito al mio popolo. Seppellitemi con i miei padri nella grotta che è nel campo di Efron l’Ittita, 30 nella grotta che è nel campo di Macpela, di fronte a Mamre, nel paese di Canaan, la quale Abraamo comprò con il campo da Efron l’Ittita, come sepolcro di sua proprietà. 31 Qui furono sepolti Abraamo e sua moglie Sara; furono sepolti Isacco e Rebecca sua moglie, e qui io seppellii Lea. 32 Il campo e la grotta che vi si trova furono comprati presso i figli di Chet». 33 Quando Giacobbe ebbe finito di dare questi ordini ai suoi figli, ritirò i piedi nel letto, spirò e fu riunito al suo popolo.

50:1 Allora Giuseppe si gettò sulla faccia di suo padre, pianse su di lui e lo baciò. Poi Giuseppe ordinò ai medici che erano al suo servizio di imbalsamare suo padre; e i medici imbalsamarono Israele. Ci vollero quaranta giorni, perché tanto è il tempo che si impiega a imbalsamare. E gli Egiziani lo piansero settanta giorni. Quando i giorni del lutto fatto per lui furono passati, Giuseppe parlò alla casa del faraone, dicendo: «Se ora ho trovato grazia ai vostri occhi, fate giungere agli orecchi del faraone queste parole: “Mio padre mi ha fatto giurare e mi ha detto: ‘Ecco, io muoio; seppelliscimi nel mio sepolcro, che mi sono scavato nel paese di Canaan’. Ora dunque, permetti che io salga e seppellisca mio padre; poi tornerò”». Il faraone rispose: «Sali e seppellisci tuo padre come ti ha fatto giurare».

Allora Giuseppe salì a seppellire suo padre e con lui salirono tutti i servitori del faraone, gli anziani della sua casa e tutti gli anziani del paese d’Egitto, tutta la casa di Giuseppe e i suoi fratelli e la casa di suo padre. Non lasciarono nella terra di Goscen che i loro bambini, le loro greggi e i loro armenti. Con lui salirono pure carri e cavalieri, così da formare un corteo numerosissimo. 10 Quando giunsero all’aia di Atad, che è oltre il Giordano, vi furono grandi e profondi lamenti. Giuseppe fece a suo padre un lutto di sette giorni. 11 Quando gli abitanti del paese, i Cananei, videro il lutto dell’aia di Atad, dissero: «Questo è un grave lutto per gli Egiziani!» Perciò fu messo il nome di Abel-Misraim a quell’aia, che è oltre il Giordano. 12 I figli di Giacobbe fecero per lui quello che egli aveva ordinato loro: 13 lo trasportarono nel paese di Canaan e lo seppellirono nella grotta del campo di Macpela, che Abraamo aveva comprato con il campo da Efron l’Ittita, come sepolcro di sua proprietà, di fronte a Mamre. 14 Giuseppe, dopo aver sepolto suo padre, tornò in Egitto con i suoi fratelli e con tutti quelli che erano saliti con lui a seppellire suo padre.

15 I fratelli di Giuseppe, quando videro che il loro padre era morto, dissero: «Chi sa se Giuseppe non ci porterà odio e non ci renderà tutto il male che gli abbiamo fatto?» 16 Perciò mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre, prima di morire, diede quest’ordine: 17 “Dite così a Giuseppe: ‘Perdona ora ai tuoi fratelli il loro misfatto e il loro peccato; perché ti hanno fatto del male’”. Ti prego, perdona dunque ora il misfatto dei servi del Dio di tuo padre!» Giuseppe, quando gli parlarono così, pianse. 18 I suoi fratelli vennero anch’essi, s’inchinarono ai suoi piedi e dissero: «Ecco, siamo tuoi servi». 19 Giuseppe disse loro: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio? 20 Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso. 21 Ora dunque non temete. Io provvederò al sostentamento per voi e i vostri figli». Così li confortò e parlò al loro cuore.

22 Giuseppe abitò in Egitto con la casa di suo padre; egli visse centodieci anni. 23 Giuseppe vide i figli di Efraim, fino alla terza generazione; anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle sue ginocchia. 24 Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Io sto per morire, ma Dio per certo vi visiterà e vi farà salire, da questo paese, nel paese che promise con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe». 25 Giuseppe fece giurare i figli d’Israele, dicendo: «Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui le mie ossa». 26 Poi Giuseppe morì, all’età di centodieci anni; e fu imbalsamato e deposto in un sarcofago in Egitto.

1) Tristezza

Il libro di Genesi finisce sia con la tristezza sia con la speranza. La fine è triste perché, mentre inizia con la creazione di Dio che conferisce la vita, la bellezza e la bontà, conclude con la morte. Alla fine del penultimo capitolo muore Giacobbe, il patriarca e padre delle dodici tribù d’Israele. Poi, l’ultimo versetto del libro riporta la morte di Giuseppe, uno dei dodici figli d’Israele e protagonista dei drammatici avvenimenti narrati nei capitoli precedenti.

È infatti l’importanza di Giuseppe che rende la sua morte così commovente. Il tutto comincia nel capitolo 37 quando i fratelli di Giuseppe lo vendono in schiavitù per invidia del favoritismo di loro padre nei suoi confronti. Giuseppe va in Egitto e diventa servo nella casa di Potifar, un ufficiale del faraone. A un certo punto, la moglie di Potifar accusa Giuseppe di averla violentata, un crimine di cui Giuseppe è invece innocente. Così Giuseppe finisce in prigione dove languisce per anni.

Grazie a una serie di avvenimenti straordinari orchestrati dal Signore, Giuseppe viene liberato e promosso come vicerè su tutto il paese di Egitto. A faraone Dio dà un sogno e a Giuseppe ne dà l’interpretazione che riguarda un periodo di terribile carestia che durerà sette anni. Oltre all’interpretazione Giuseppe offre al faraone saggi consigli di come preparare il paese alla carestia, il che agli occhi del faraone rende Giuseppe l’uomo perfetto per organizzare e gestire i preparativi.

È in questo modo che Giuseppe per mezzo delle sue sofferenze, ascende al potere in Egitto, un potere che usa poi per salvare le vite della popolazione di Egitto e non solo. Salva anche la vita dei suoi familiari, compresi i suoi fratelli che l’hanno venduto in schiavitù. Le parole di Giuseppe ai suoi fratelli dopo la morte del loro padre riassumono tutto:

«Non temete. Sono io forse al posto di Dio? Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso. Ora dunque non temete. Io provvederò al sostentamento per voi e i vostri figli». Così li confortò e parlò al loro cuore. (Genesi 50:19-21)

La tristezza è dunque palpabile solo qualche versetto dopo quando il libro di Genesi chiude con la morte di Giuseppe, un uomo che ben esemplifica la promessa di Dio che tramite la discendenza di Abraamo tutte le famiglie della terra saranno benedette. In un tempo di grande carestia quando la gente moriva di fame, fu Giuseppe a provvedere al sostentamento non solo per la sua famiglia che aveva perdonato, ma anche al sostentamento del popolo d’Egitto e delle nazioni circostanti. Per mezzo di Giuseppe, il mondo fu letteralmente benedetto in una crisi di maledizione. La morte di Giuseppe quindi segnala che, nonostante tutto il bene da lui fatto, non fu lui a compiere pienamente la promessa di Dio.

Ma in un senso ancora più profondo, la tristezza della fine di Genesi deriva dal fatto stesso della morte. La morte, conseguenza del peccato e parte della maledizione, non faceva parte del mondo come Dio l’aveva creato. La morte di Giuseppe è solo l’ultima di una lunghissima serie di morti cominciando da Adamo ed Eva. Infatti, come Paolo afferma in Romani 5:14, la morte regnò su tutti, non lasciando sfuggire nemmeno uno. La morte di Giuseppe simboleggia la rovina universale nella quale cadde il buon creato di Dio.

2) Speranza

Questa tristezza però è temperata dalla speranza che promette un risultato finale che rispecchia quello della storia di Giuseppe. Come Dio convertì in bene il male pensato contro Giuseppe dai suoi fratelli, così convertirà in bene il male originale che portò al decadimento del creato. Questa promessa sarà portata avanti, come sappiamo, dal linguaggio di Abraamo, focalizzato sul popolo disceso da Israele, cioè da Giacobbe e dai dodici figli a lui nati. È Giuseppe che, poco prima di morire, ribadisce questa speranza radicata nella promessa di Dio fatta a suo padre, Giacobbe, a suo nonno, Isacco, e a suo bisnonno, Abraamo. Leggiamo in Genesi 50:24-25:

24 Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Io sto per morire, ma Dio per certo vi visiterà e vi farà salire, da questo paese, nel paese che promise con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe». 25 Giuseppe fece giurare i figli d’Israele, dicendo: «Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui le mie ossa».

Questi versetti meritano particolare attenzione in quanto evidenziati dalla lettera agli Ebrei nel Nuovo Testamento. Nell’undicesimo capitolo, quel famoso “albo d’onore” di uomini e donne di fede nella Bibbia, Giuseppe è elogiato proprio per questo:

22 Per fede Giuseppe, quando stava per morire, fece menzione dell’esodo dei figli d’Israele e diede disposizioni circa le sue ossa.

Questo è notevole. Quando l’autore di Ebrei arrivò a Giuseppe nel proseguimento nella storia biblica, scelse di sottolineare la fede espressa alla fine della sua vita riguardante “l’esodo dei figli d’Israele e … le sue ossa”. Rispetto a tutte le prove affrontate da Giuseppe che richiesero una grande fiducia nel Signore, quest’ultima riceve viene messa in rilievo. Ritengo curioso che, secondo Ebrei, le disposizioni di Giuseppe circa le sue ossa costituirono un atto di fede in un senso più grande di quelli manifestati durante tutta la sua vita fino a quel momento. Come mai? Si trova la risposta nel v.13 di Ebrei 11:

13 Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. 

Secondo Ebrei, la caratteristica da lodare della fede di Giuseppe e degli altri come Noè, Abraamo, Sara, e Mosè fu la speranza con la quale credettero fino alla morte. Tutti questi morirono nella fede anche se non avevano ricevuto o visto con i propri occhi le cose promesse. A loro fu concesso solo di “salutare da lontano” il compimento delle promesse di Dio. Questo è proprio quell’aspetto della fede in Dio che si chiama “speranza” che Paolo definisce così in Romani 8:24-25:

24 Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede perché lo spererebbe ancora? 25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con pazienza.

In altre parole, la speranza della fede è la certezza che Dio manterrà le sue promesse anche quando, fino alla morte, non si vede che Dio le ha mantenute. La speranza è la convinzione della fede che non si lascia ingannare dalle apparenze (che spesso sembrano contraddire la promessa di Dio) ma che si fida dell’invisibile parola di Dio.

Questa è la fede dimostrata da Giuseppe alla fine della sua vita. La sua menzione dell’esodo e le istruzioni circa le sue ossa richiamano la promessa di Dio ad Abraamo anni prima riferita in 15:13-14:

13 Il Signore disse ad Abramo: «Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro: saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni; 14 ma io giudicherò la nazione di cui saranno stati servi e, dopo questo, se ne partiranno con grandi ricchezze.

Giuseppe, consapevole delle promesse di Dio a suo bisnonno, sapeva che il soggiorno d’Israele in Egitto sarebbe diventato la schiavitù del popolo, come anche egli era stato schiavo in Egitto. Ma sapeva anche, e n’era certo, che Dio avrebbe liberato Israele quattrocento anni dopo e gli avrebbe dato in possesso il paese promesso ad Abraamo. Per questo Giuseppe fa giurare ai suoi parenti: “Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui le mie ossa.” 

L’autore di Ebrei sottolinea questa frase come massima espressione della fede di Giuseppe perché riguarda un futuro adempimento della promessa di Dio che Giuseppe stesso non non ha mai visto e non vivrà per vedere. Questa è la più grande prova della fede, quando dobbiamo fidarci di Dio pur non vedendo l’adempimento della sua promessa. Qui Giuseppe non ha altra prova della parola di Dio se non la parola stessa. La fede di Giuseppe si basa sulla certezza che nessuna parola di Dio rimane inefficace. Da questo consegue che ogni parola di Dio è da sola sufficiente per sostenere la fede. Non abbiamo bisogno di altre prove all’infuori della parola di Dio per essere certi che possiamo fidarci totalmente della parola di Dio. Come nel caso di Giuseppe, arrivano momenti e periodi nella vita quando ci troviamo di fronte alla domanda: possiamo credere alla parola di Dio quando l’unica cosa che abbiamo è la parola di Dio? Quando manca qualsiasi altra prova, basta la parola di Dio per sostenere la nostra fede in essa?

3) Compimento

La risposta, come lo fu per Giuseppe, dovrebbe essere di Sì! Ma sarebbe sbagliato concludere che la nostra fede nella parola di Dio sia un mero salto nel buio. Ebrei 11 prosegue dicendo:

39 Tutti costoro [compreso Giuseppe], pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso; 40 perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio, in modo che loro non giungessero alla perfezione senza di noi. 12:1 Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta.

Ripetendo che i nostri antenati nella fede “non ottennero ciò che era stato promesso”, ne aggiunge il motivo: “perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio, in modo che loro non giungessero alla perfezione senza di noi”. Quella perfezione è quella che si è realizzata in Gesù, “colui che crea la fede e la rende perfetta”. Vale a dire, il compimento di ogni promessa e di ogni proposito di Dio si ha in Gesù Cristo. Gesù è la vera Parola di Dio le cui autorevolezza e attendibilità derivano da nessuna fonte se non da se stessa. La fede come quella di Giuseppe che supera ogni tentazione e circostanza non deriva dalle capacità umane di credere, ma dalla Parola che crea la fede e la rende perfetta. Perciò Paolo dichiara in Romani 10:17:

Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo.

La morale della storia? È semplice: fissiamo “lo sguardo su Gesù”. Niente o nessun altro può creare in noi la fede, e niente o nessun altro può renderla perfetta e sostenerla fino alla morte, anche davanti a ogni sorta di difficoltà e contraddizione. Se vogliamo credere con la fede di Giuseppe, allora dobbiamo guardare ciò che lui ha visto e salutato da lontano: Gesù Cristo, la Parola di Dio.

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