1. Introduzione (Isaia 40:1)
1.1. Il messaggio attuale di Isaia
La Bibbia, pur essendo un libro antico, resta sempre molto attuale, perché le problematiche in essa trattati continuano a pervadere il mondo in cui ci troviamo. Il profeta Isaia, dal cui libro mediteremo una porzione oggi, visse circa 700 anni prima della nascita di Gesù, eppure rivolge un messaggio da parte del Signore che rimane sempre potente. Mentre le nostre circostanze specifiche possono essere diverse da quelle di Isaia, abbiamo ancora bisogno di ascoltare la parola che egli riferì.
Per capire meglio ciò che stiamo per leggere, sarà utile considerare brevemente il contesto in cui Isaia svolse il suo servizio profetico. Il paese di Israele — o meglio il regno di Israele stabilito dal re Davide, figlio di Isai, intorno all’anno 1000 a.C., è ormai diviso in due, afflitto da frequenti conflitti e guerre tra nord e sud. Inoltre, il regno diviso esiste sotto la costante minaccia di incursioni militari da parte degli Assiri dal nord, dagli Egiziani dal sud e dai Babilonesi dall’est.
Questi pericoli esterni già basterebbero per rendere la vita difficile e incerta, ma i due regni di Israele sono altrettanto tormentati da problemi interni. Nello stesso contesto del brano che studieremo oggi, Isaia osserva che:
17 Infatti la malvagità arde come il fuoco che divora rovi e pruni; divampa nel folto della foresta, da cui s’innalzano vorticosamente colonne di fumo. 18 Per l’ira del Signore degli eserciti il paese è in fiamme e il popolo è in preda al fuoco; nessuno risparmia il fratello. 19 Si saccheggia a destra e si ha fame; si divora a sinistra e non si è saziati; ognuno divora la carne del proprio braccio.
Oltre alla “malvagità” che “arde come il fuoco” nel paese, Isaia menziona in particolare
1… quelli che fanno decreti iniqui e a quelli che mettono per iscritto sentenze ingiuste, 2 per negare giustizia ai deboli, per spogliare del loro diritto i poveri del mio popolo, per far delle vedove la loro preda e degli orfani il loro bottino!
In questo senso, il mondo di Isaia non è molto lontano dal nostro: dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, dove i potenti sfruttano i loro sudditi e i sacerdoti fanno della religione un mezzo per commettere ogni sorta di male. L’ingiustizia è sempre dilagante, e i più deboli della società non hanno nessuno che gli venga in soccorso. Possiamo facilmente identificarci, dunque, con la descrizione di Isaia di un “paese dell’ombra della morte” (9:1).
1.2. Il riassunto dell’argomento
Lo scopo di Isaia, però, non è di lamentarsi della brutta situazione, come fanno molti. Egli è mandato dal Signore, invece, per predicare un messaggio di speranza; ovvero, dopo l’ombra della morte ci sarà la luce, dopo la tristezza ci sarà la gioia, dopo l’afflizione ci sarà il riposo e dopo il conflitto ci sarà la pace. Isaia concluderà questa buona notizia spiegando come possiamo sapere con certezza e conoscere per esperienza la realtà di questa speranza. Leggiamo ora le parole di Isaia.
2. L’annuncio della speranza (Isaia 9:1-4)
1Il popolo che camminava nelle tenebre vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte la luce risplende. 2 Tu moltiplichi il popolo, tu gli elargisci una gran gioia; esso si rallegra in tua presenza come uno si rallegra al tempo della mietitura, come uno esulta quando spartisce il bottino. 3 Infatti il giogo che gravava su di lui, il bastone che gli percuoteva il dorso, la verga di chi l’opprimeva tu li spezzi, come nel giorno di Madian. 4 Difatti ogni calzatura portata dal guerriero nella mischia, ogni mantello sporco di sangue saranno dati alle fiamme, saranno divorati dal fuoco.
2.1. La luce (9:1)
Il primo versetto del capitolo riassume quanto segue. Il popolo camminava nelle tenebre, ma ora vede una gran luce. Come accennato prima, le tenebre qui rappresentano tutto ciò che rende la vita e il mondo oscuri e spaventosi. Sappiamo tutti la paura del buio che da bambini si può provare. In antichità, quando non esisteva la luce elettrica, il buio era ancora più terrificante di quanto lo possa essere oggi. In un mondo senza la polizia, l’ambulanza e l’antifurto, la notte era il dominio di ladri, di malfattori, di animali selvaggi e di ogni tipo di pericolo nascosto e misterioso. Anche quelle poche persone che, tutto sommato, vivono abbastanza tranquilli, non possono fuggire quell’ombra finale che chiude ogni occhio nel buio totale, cioè la morte.
L’annuncio del profeta in questo contesto è che la notte passerà e il sole spunterà. Qualunque siano stati i fallimenti e i dolori del giorno precedente, l’arrivo dell’alba segnala che un nuovo giorno sta per iniziare. Ma la cosa particolarmente bella di questo nuovo giorno è che non finirà mai. Non sarà un giorno qualsiasi che vedrà anch’esso il tramonto e il ritorno della notte. Isaia parla della luce che disperde “l’ombra della morte”, il che non significa un ciclo incessante di morte e di rinascita, ma piuttosto la morte della morte stessa e l’inizio della vita eterna. E questa vita eterna si distingue non solo perché non ha fine ma soprattutto per la sua qualità. Chi vorrebbe vivere per sempre se la vita fosse un costante tormento? La vita che, come la luce del mattino, scaccia le tenebre della morte è quella più bella di quanto possiamo immaginare. Isaia ce la descrive ai versetti successivi.
2.2. La gioia (9:2)
Rivolgendosi ora al Signore stesso, Isaia lo loda per come egli moltiplica il popolo e gli elargisce una gran gioia. Paragona questa gioia a quella che si ha “al tempo della mietitura”. L’Israele nei tempi di Isaia era principalmente un paese agricolo, e la mietitura era letteralmente una questione di vita e di morte. Se alla fine della stagione si raccoglieva poco o niente, si moriva di fame. Dall’altro canto, una raccolta abbondante non solo assicurava la vita per l’anno successivo, ma dava la possibilità di anche conservarne una parte per eventuali scarsità in futuro.
La gioia che Isaia prevede, dunque, è quella più grande concepibile, simile anche al soldato che gode del bottino dopo una durissima battaglia. È la gioia di avere tutto quello che serve — e anche di più — per potersi godere la vita al massimo. Dopo tanto dolore e tanta tristezza, dopo aver versato lacrime innumerevoli, il popolo avrà una gioia abbondante quanto la più ampia raccolta che durerà per sempre. Poiché questa è la gioia della vita eterna, è una gioia senza fine che non sarà mai più tolta o interrotta.
2.3. Il riposo (9:3)
Questa gioia è in parte legata alla buona notizia che Isaia annuncia al v.3, ovvero il Signore spezzerà “il giogo”, “il bastone” e “la verga”, strumenti usati per percuotere il dorso e per opprimere il lavoratore. Come egli aveva liberato Israele dagli oppressori “nel giorno di Madian” per mano di Gedeone, così farà di nuovo per dare riposo al suo popolo. Qui Isaia parla della liberazione da tutto quello che rende schiavi, che sfrutta i deboli, che calpesta la giustizia e ignora le grida degli oppressi. Questo è anche il riposo dalla fatica vana, dal lavoro che ci richiede tanto ma ci restituisce poco, dal senso che siamo chiusi in un circolo vizioso di che non porta a nulla.
Di nuovo, non stiamo parlando di quel minimo di riposo riusciamo a prendere (forse!) il weekend, oppure i giorni di ferie ad Agosto che passano troppo in fretta. Questo è un riposo pari alla vita e alla gioia descritte prima. Insieme alla vita eterna e la gioia sovrabbondante, Isaia ci fa vedere il giorno quando nemmeno il riposo finirà. Questo non significa che allora non si lavorerà più e si morirà poi di noia, ma piuttosto che non si faticherà mai più invano, e si sarà sempre soddisfatti del proprio lavoro e si potrà sempre goderne i risultati. In più, non ci sarà più ingiustizia né lo sfruttamento né la schiavitù né l’oppressione. Questo è il riposo che Dio promette di dare.
2.4. La pace (9:4)
Alla luce di tutto ciò, non è sorprendente scoprire che Isaia annuncia la pace come risultato finale. Al v.4., vediamo “ogni calzatura portata dal guerriero” e “ogni mantello sporco di sangue” gettati e divorati dal fuoco. Questa è un’immagine della cessazione di guerra e di ogni forma di conflitto. Al capitolo 2, Isaia ne fornisce un’altra:
4 … essi trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro e le loro lance in falci. Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra.
Quanto è stupenda questa visione delle armi di guerra che si trasformano in attrezzi di agricoltura, il cambiamento di ciò che distrugge e uccide in ciò che coltiva e fa vivere. Come ai versetti precedenti, questa non è una pace temporanea, perché “una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra”. Anziché sviluppare sempre più efficaci mezzi di morte, le nazioni dedicheranno tutte le loro energie e capacità per creare bellezza e fecondità.
Non dovremmo lasciarci sfuggire la vera universalità di questa pace. Mentre l’immagine usata al v.4 è del guerriero in battaglia, la pace che Isaia descrive non vale solo al livello internazionale ma anche individuale. A volte, i conflitti più grandi sono quelli dentro di noi. Infatti, è spesso perché l’uomo è in conflitto con sé che poi entra in conflitto con altri. Se leggiamo questo versetto insieme a quelli precedenti, la visione che emerge è di una realtà che trasforma sia l’interno che l’esterno.
Quante volte ho sentito la gente lamentarsi della difficoltà di trovare la pace e la tranquillità interiore. Questo, a mio avviso, è uno dei bisogni più sentiti nella società di oggi. Tra la frenesia e lo stress della vita, tra il lavoro e le bollette, tra figli disubbidienti e vicini di casa irascibili, ci sono pochi che riescono a mantenere una serenità imperturbabile. Questa serenità — un’ininterrotta calma radicata nel profondo del cuore — è quella che Isaia annuncia in questi versetti. Chi non vorrebbe averla? E chi non vorrebbe veder risplendere la luce di un nuovo giorno, gustare una gioia sovrabbondante, godere del riposo e della soddisfazione di un lavoro svolto con successo, ed essere certo che un giorno il mondo diventerà quel luogo di giustizia, di libertà e di amore che tutti vorremmo?
3. L’avvento della speranza (Isaia 9:5-6)
5 Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace, 6 per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
3.1. La nascita del re (9:5)
Se la “buona notizia” di Isaia sembra troppo bella per essere vera, dobbiamo passare ai versetti 5-6 per capire il motivo per cui egli può annunciarla con certezza e convinzione. La speranza dell’avvento della luce, della gioia, del riposo e della pace in questo mondo di tenebre nasce proprio dalla nascita di un bambino: “Poiché un bambino ci è nato…”. Isaia precisa subito che questo bambino è destinato a regnare, in quanto “il dominio riposerà sulle sue spalle”. Il suo dominio non sarà come nessun altro in tutta la terra, perché sarà stabilito “fermamente … mediante il diritto e la giustizia da ora e per sempre.” L’eterno impero di pace che tante potenti figure storiche hanno sognato, ma che erano incapaci di realizzare, diventerà finalmente una realtà.
Mentre questo re, secondo Isaia, erediterà il trono di Israele in quanto discendente di Davide, è chiaro che il suo regno non avrà limiti non solo nel tempo ma anche nello spazio. Al capitolo 11, Isaia aggiunge questi dettagli riguardanti questo re:
2 Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore. 3 Respirerà come profumo il timore del Signore, non giudicherà dall’apparenza, non darà sentenze stando al sentito dire, 4 ma giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l’empio. 5 La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi. 6 Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. 7 La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli si sdraieranno assieme e il leone mangerà il foraggio come il bue. 8 Il lattante giocherà sul nido della vipera, e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente. 9 Non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo, poiché la conoscenza del Signore riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare.
3.2. L’identità del re (9:5-6)
Ovviamente, questo bambino re non potrà essere un bambino qualsiasi per poter compiere tutto ciò. È infatti questo che Isaia chiarisce dandogli quattro titoli che insieme identificano chi sarà. Il primo è “Consigliere ammirabile”. In antichità, il re doveva essere soprattutto un uomo ricco non di soldi ma di saggezza, perché solo così poteva sempre e in ogni situazione discernere il giusto e regnare giustamente. Tra tutti i re della terra, questo bambino sarà il più “ammirabile” di tutti per quanto sarà saggio.
Secondo, il bambino sarà chiamato sorprendentemente “Dio potente”. Questo è davvero un mistero, perché come può un bambino che nasce essere anche il Dio Creatore dell’universo? Per quanto incredibile, questo è esattamente ciò che il profeta dichiara. In più, Isaia accresce il mistero chiamando il bambino anche “Padre eterno”. Come può un bambino essere un padre, e come può uno che nasce (cioè che ha un inizio) essere eterno?
Siamo veramente sul precipizio di un immenso enigma, che si risolverà solo alla nascita di un bambino, circa 700 anni dopo in un piccolo villaggio vicino a Gerusalemme, che riceverà il nome “Gesù”. Questo è il bambino in cui i paradossi della profezia vengono illuminati, colui che nasce come ogni essere umano eppure, al tempo stesso, incarna il Dio eterno e onnipotente. Questo bambino è il Dio che “nel principio creò i cieli e la terra” (Genesi 1:1), ma poi è diventato egli stesso una creatura per poter essere “Emmanuele”, ossia “Dio con noi”. Dal momento che ci siamo allontanati dal nostro Creatore, ci siamo staccati dalla Fonte della nostra vita, così auto-destinandoci alla morte. La nostra condizione è talmente grave, che quando egli ci ha chiamato, ce ne siamo allontanati ancora di più, preferendo le tenebre della morte alla luce della sua vita.
3.3. Lo zelo del Signore (9:6)
Ecco perché Isaia lo chiama anche “Principe della pace”. Questo bambino è la rivelazione del Dio che non voleva abbandonarci alla nostra ostinata spirale verso l’abisso della morte, ed è venuto egli stesso, in forma umana, per cercare e salvare ciò che era perduto. Come il buon pastore che non smette di cercare finché non ritrova la sua pecora smarrita, così Dio ci ha inseguito, fino alla sua propria morte sulla croce, per ritrovarci, per riconciliarci con sé e per ridarci la luce, la gioia, il riposo e la pace a cui abbiamo rinunciato. Come profetizza Isaia al capitolo 53:
4 Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato! 5 Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
Questo è “lo zelo del Signore” che ha fatto tutto questo. L’amore di Dio per noi non è capriccioso né condizionato dai nostri misfatti. Non è indifferente né distante, ma zelante e risoluto di riscattarci ad ogni costo, persino al costo del proprio sangue. Questo è il Dio che Isaia vuole farci conoscere in questa profezia, il Dio che si rivela nel bambino chiamato Gesù.
4. Conclusione: Poiché un bambino ci è nato (Isaia 9:5)
È non solo Isaia che vuole farci sapere questo, ma Gesù è infatti il punto di tutta la Bibbia! Sin dal primo libro in Genesi, Dio ha promesso che il male sarebbe stato per sempre annientato per mezzo di un discendente di Eva. Questo è il punto della storia di Abraamo e di Isacco, in cui vediamo che questa promessa salvezza verrà tramite il sacrificio dell’unico Figlio di Dio. Questo è il punto della storia dell’esodo, quando il popolo di Israele viene liberato da schiavitù in Egitto attraverso la morte dei primogeniti. Questo è il punto della storia Davide che batte il gigante Golia, anticipando la vittoria del figlio di Davide sui veri nemici del popolo di Dio, il peccato e la morte. Ogni storia della Scrittura, infatti, sussurra il nome di Gesù.
E questo è il punto principale della profezia di Isaia. Se non vi ricordate di nient’altro da questo studio, ricordatevi almeno di questo: la luce che scaccia le tenebre, la gioia che fa straripare il cuore, il riposo che dura per sempre e la pace che supera ogni intelligenza, tutto ciò è dovuto a quest’unica cosa: “poiché un bambino ci è nato”. Tutto quello di cui abbiamo bisogno, tutto quello che desideriamo e tutto quello troppo bello da essere immaginato si trova in Gesù. Se abbiamo Gesù, abbiamo tutto. Se non abbiamo Gesù, non abbiamo niente.
Il messaggio di Isaia è semplice: se cerchiamo la luce senza cercare Gesù, rimarremo nel buio. Se cerchiamo la gioia senza cercare Gesù, non saremo mai pienamente soddisfatti. Se cerchiamo il riposo senza cercare Gesù, saremo sempre soggetti alla stanchezza e all’esaurimento. Se cerchiamo la pace senza cercare Gesù, ci troveremo sempre in conflitto dentro e fuori. Gesù è la nostra luce. Gesù è la nostra gioia. Gesù è il nostro riposo. E Gesù è la nostra pace. Questo è il cuore della Bibbia e la vera ragione di Natale. Per il suo grande amore per noi, Dio vuole darci tutto, e per darci tutto, Dio ci dà se stesso in Gesù Cristo. L’unica domanda che rimane è questa: lo accetterai? Non lasciate sfuggire l’occasione che il Natale vi offre; ricevete il dono di Gesù.