Atti 5: Il fermento del vangelo

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1. Verso lo scoppio (Atti 5:1-18)

1 Ma un uomo di nome Anania, con Saffira sua moglie, vendette una proprietà 2 e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie; e un’altra parte la consegnò, deponendola ai piedi degli apostoli. 3 Ma Pietro disse: «Anania, perché Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo e trattenere parte del prezzo del podere? 4 Se questo non si vendeva, non restava tuo? E una volta venduto, il ricavato non era a tua disposizione? Perché ti sei messo in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio». 5 Anania, udendo queste parole, cadde e spirò. E un gran timore prese tutti quelli che lo udirono. 6 I giovani, alzatisi, ne avvolsero il corpo e, portatolo fuori, lo seppellirono.

7 Circa tre ore dopo sua moglie, non sapendo ciò che era accaduto, entrò. 8 E Pietro, rivolgendosi a lei: «Dimmi», le disse, «avete venduto il podere per tanto?» Ed ella rispose: «Sì, per tanto». 9 Allora Pietro le disse: «Perché vi siete accordati a tentare lo Spirito del Signore? Ecco, i piedi di quelli che hanno seppellito tuo marito sono alla porta e porteranno via anche te». 10 Ed ella in quell’istante cadde ai suoi piedi e spirò. I giovani, entrati, la trovarono morta; e, portatala via, la seppellirono accanto a suo marito. 11 Allora un gran timore venne su tutta la chiesa e su tutti quelli che udivano queste cose.

12 Molti segni e prodigi erano fatti tra il popolo per le mani degli apostoli; e tutti di comune accordo si ritrovavano sotto il portico di Salomone. 13 Ma nessuno degli altri osava unirsi a loro; il popolo però li esaltava. 14 E sempre di più si aggiungevano uomini e donne in gran numero, che credevano nel Signore; 15 tanto che portavano perfino i malati nelle piazze e li mettevano su lettucci e giacigli, affinché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra ne coprisse qualcuno. 16 Anche la folla delle città intorno a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi; e tutti erano guariti. 17 Il sommo sacerdote e tutti quelli che erano con lui, cioè la setta dei sadducei, si alzarono, pieni di invidia, 18 e misero le mani sopra gli apostoli e li gettarono nella prigione pubblica.

Nei primi capitoli di Atti, vediamo l’adempimento delle parole di Gesù che gli apostoli sarebbero stati i suoi testimoni “in Gerusalemme” (1:8). In questo periodo, la comunità cristiana era distinta dal, ma ancora associata al giudaismo, partecipando alle attività svolte nel tempio oltre a essere “perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere” (2:42). Questa situazione non è durata molto, però, in quanto i capi religiosi – gli stessi che avevano fatto crocifiggere Gesù – non sopportavano la predicazione apostolica della risurrezione.

Al capitolo 5 di Atti, non siamo ancora arrivati alla lapidazione di Stefano, il primo martire cristiano, ma siamo passati dal mero fastidio alla persecuzione. Al capitolo 4, Pietro e Giovanni vengono arrestati ma liberati il giorno seguente, mentre al capitolo 5 il sommo sacerdote e i sadducei arrestano tutti gli apostoli e li rinchiudono “nella prigione pubblica” (v.17), un’evidente intensificazione della loro opposizione al vangelo. Luca spiega che ciò è avvenuto non perché i sadducei erano preoccupati di salvaguardare la loro fede (per quanto fosse errata) ma perché erano “pieni di invidia” (v.17).

Dopo la vicenda di Anania e Saffira, narrata in Atti 5:1-11, Luca riporta che nei confronti degli apostoli “il popolo però li esaltava”, e “sempre di più si aggiungevano uomini e donne in gran numero che credevano al Signore” (v.13-14). A causa dei “segni e prodigi” compiuti dagli apostoli, “la folla delle città intorno a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi; e tutti erano guariti” (vv.12, 16). Per questo motivo i sadducei erano invidiosi: gli apostoli che predicavano la risurrezione dell’uomo da loro odiato e crocifisso godevano di una sempre più grande fama in tutta la regione, e i sadducei erano impotenti di negare il loro potere. L’unica opzione rimastagli era di arrestare gli apostoli per impedire che continuassero a predicare e a guarire. Chiaramente, i sadducei e gli apostoli – e le istituzioni da loro rappresentate, ossia il tempio e la chiesa – andavano verso uno scisma irreparabile. Il “vino nuovo” del vangelo stava per far scoppiare “gli otri vecchi” del giudaismo (Luca 5:37).

2. La divina commedia (Atti 5:19-26)

19 Ma un angelo del Signore, nella notte, aprì le porte della prigione e, condottili fuori, disse: 20 «Andate, presentatevi nel tempio e annunciate al popolo tutte le parole di questa vita». 21 Essi, udito ciò, entrarono sul far del giorno nel tempio, e insegnavano. Ora il sommo sacerdote e quelli che erano con lui vennero, convocarono il sinedrio e tutti gli anziani dei figli d’Israele e mandarono alla prigione per far condurre davanti a loro gli apostoli. 22 Ma le guardie che vi andarono non li trovarono nella prigione; e, tornate, fecero il loro rapporto, 23 dicendo: «La prigione l’abbiamo trovata chiusa con ogni diligenza, e le guardie in piedi davanti alle porte; abbiamo aperto, ma non abbiamo trovato nessuno dentro».

24 Quando il capitano del tempio e i capi dei sacerdoti udirono queste cose, rimasero perplessi sul conto loro, non sapendo cosa ciò potesse significare. 25 Ma sopraggiunse uno che disse loro: «Ecco, gli uomini che voi metteste in prigione sono nel tempio e stanno insegnando al popolo». 26 Allora il capitano, con le guardie, andò e li condusse via, senza far loro violenza, perché temevano di essere lapidati dal popolo. 

Tutto questo sembra molto serio, e lo è, ma viene narrato in maniera ironica per, in un senso, sdrammatizzare la situazione. Da un lato, i capi religiosi hanno tutto il potere, e lo usano per perseguitare duramente la comunità cristiana i cui conduttori non hanno nessun’autorità ufficiale. Da questa prospettiva, gli apostoli sono svantaggiati nei confronti dei loro persecutori. Però, tutto non è come sembra!

Immaginiamo la sorpresa dei capi religiosi quando la mattina seguente ricevono la notizia che “la prigione l’abbiamo trovata chiusa con ogni diligenza, e le guardie in piedi davanti alle porte … ma non abbiamo trovato nessuno dentro” (v.23). Immaginiamo la più grande sorpresa quando sentono dire da un altro che “gli uomini che voi metteste in prigione sono nel tempio e stanno insegnando al popolo” (v.25)! È quasi come se gli apostoli fossero dei maghi!

Sappiamo, ovviamente, che gli apostoli non erano dei maghi, ma servi del Signore Gesù vivente, il quale siede sul trono dell’universo. La cosa buffa è che mentre i sadducei credevano di aver azzittito gli apostoli, “un angelo del Signore”, la cui esistenza i sadducei negavano (perché, come non accettavano l’idea della risurrezione, non accettavano neanche l’idea degli angeli), “aprì le porte della prigione” (v.19). In altre parole, il Signore decise di mandare come mezzo di liberazione la stessa cosa in cui i sadducei dicevano di non credere. Così, quando essi pensavano di poter “far condurre davanti a loro gli apostoli” per sottoporli a un processo davanti a “il sinedrio e tutti gli anziani dei figli d’Israele”, non sapevano che in quello stesso momento gli apostoli erano di nuovo nel tempio a insegnare il popolo (v.21)!

Questo fa veramente ridere. I sadducei appaiono totalmente inetti e stupidi: inetti perché incapaci di fermare un gruppo di uomini poco istruiti e di poco conto sociale, e stupidi perché negano l’esistenza di quello che è successo sotto i loro occhi! Ecco quelli che si reputano i più intelligenti e i più potenti ridotti al punto di diventare ridicoli! Questo dimostra la verità delle parole di Gesù che gli otri vecchi del sistema religioso non erano capaci di contenere il vino nuovo del suo regno. Ma anziché buttare via quegli otri ormai scoppiati, i sadducei continuavano a insistere che andavano bene!

Questa scena fa venire in mente anche il Salmo 2 citato al capitolo precedente di Atti dalla chiesa riunita in preghiera:

1 Perché questo tumulto fra le nazioni, e perché meditano i popoli cose vane? 2 I re della terra si danno convegno e i prìncipi congiurano insieme contro il SIGNORE e contro il suo Unto, dicendo: 3 «Spezziamo i loro legami, e liberiamoci dalle loro catene». 4 Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si farà beffe di loro.

Questa è la vera divina commedia! Il punto, però, non è solo di farci ridere. Per quanto possa essere anche divertente, il messaggio della narrativa resta molto serio e anche molto pratico per noi oggi.

3. Bisogna ubbidire a Dio (Atti 5:27-33)

27 Dopo averli portati via, li presentarono al sinedrio; e il sommo sacerdote li interrogò, 28 dicendo: «Non vi abbiamo forse espressamente ordinato di non insegnare nel nome di costui? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo». 29 Ma Pietro e gli altri apostoli risposero: «Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini. 30 Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi uccideste appendendolo al legno 31 e lo ha innalzato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele e perdono dei peccati. 32 Noi siamo testimoni di queste cose; e anche lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli ubbidiscono». 33 Ma essi, udendo queste cose, fremevano d’ira e si proponevano di ucciderli. 

Luca evidenzia quanto è seria la situazione attraverso il discorso di Pietro quando gli apostoli vengono di nuovo convocati davanti ai capi religiosi. Il sommo sacerdote li interroga, chiedendo perché essi persistano nel predicare il nome di Gesù Cristo dopo che gli è stato vietato di farlo. È interessante notare che il sommo sacerdote dica molto più di quanto intenda quando dichiara che “volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo” (v.28). In un senso, questo è esattamente quello che gli apostoli volevano fare, in quanto solo il sangue di Gesù perdona e toglie il peccato, come infatti Pietro afferma al v.31, che Dio ha innalzato Gesù, “costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele e perdono dei peccati”.

La risposta di Pietro, che costituisce un succinto annuncio del vangelo, verte sull’ubbidienza dovuta “a Dio anziché agli uomini” (v.29). Il motivo per cui gli apostoli continuano a predicare nonostante l’ordine dei capi religiosi è perché devono ubbidire a Dio, il quale gli ha ordinato, anche per bocca dell’angelo che li ha liberati dalla prigione, di annunciare “al popolo tutte le parole di questa vita” (v.20). È necessario ubbidire non solo perché Dio è Dio (anche se questa è già ragione più che sufficiente) ma anche perché il Gesù che sono tenuti a predicare è stato “innalzato” come “Principe e Salvatore” alla destra di Dio (v.31). Inoltre, è consigliabile, e anche desiderabile, ubbidire a Dio anziché agli uomini, perché chi lo fa riceve come dono “lo Spirito Santo”, il vero motivo per cui gli apostoli sono in grado di agire con potenza e di riscuotere un così grande successo agli occhi del popolo.

Tuttavia, i capi religiosi si risentono di queste parole, perché, se gli apostoli devono disubbidire a loro per poter ubbidire a Dio, vuol dire che i capi religiosi stessi sono disubbidienti a Dio! Così, reagiscono nell’unico modo in cui hanno sempre reagito fino a questo momento: “fremevano d’ira e si proponevano di ucciderli”. Come hanno fatto nei confronti di Gesù, così vogliono fare nei confronti dei suoi seguaci.

4. Combattere contro Dio (Atti 5:34-39)

34 Ma un fariseo di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, alzatosi in piedi nel sinedrio comandò che gli apostoli venissero un momento allontanati. 35 Poi disse loro: «Uomini d’Israele, badate bene a quello che state per fare circa questi uomini. 36 Poiché, prima d’ora, sorse Teuda, dicendo di essere qualcuno; presso di lui si raccolsero circa quattrocento uomini; egli fu ucciso, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi e ridotti a nulla. 37 Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, ai giorni del censimento, e si trascinò dietro della gente; anch’egli perì, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi. 38 E ora vi dico: tenetevi lontani questi uomini e lasciatili stare; perché, se questo disegno o quest’opera è dagli uomini, sarà distrutta; 39 ma se è da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio».

A volte per compiere la sua volontà, Dio si serve di interventi diretti e miracolosi, come quando ha mandato l’angelo a liberare gli apostoli dalla prigione, e altre volte si serve di mezzi più “normali” ma non meno efficaci, come nel caso del fariseo Gamaliele. Ricordiamoci che, mentre i principali antagonisti in questa vicenda sono i sadducei (la classe sacerdotale), gli apostoli sono stati convocati davanti al sinedrio, il quale era composto anche da farisei, di cui non tutti erano d’accordo con le azioni della maggioranza. Ne abbiamo già incontrato uno al vangelo di Luca, un tale Giuseppe di Arimatea, che era membro del sinedrio ma “non aveva acconsentito alla deliberazione e all’operato degli altri” quando avevano fatto crocifiggere Gesù. È stato lo stesso Giuseppe di Arimatea a sepplire il corpo di Gesù nel proprio sepolcro.

Ora vediamo un altro membro del sinedrio, non cristiano, ma più moderato rispetto agli altri che volevano passare subito alla violenza nei confronti degli apostoli. Anche se non per mezzo di un angelo, è sempre il Signore che agisce dalla “sala del controllo”, ovvero dalla destra di Dio in cielo. Questo Gamaliele — che “casualmente” è il maestro di un certo Saulo che diventerà poi l’apostolo Paolo — interviene con un ragionamento del tutto sensato. Riferendosi a due esempi di figure messianiche i cui movimenti sono venuti a nulla, Gamaliele esorta i suoi colleghi: “tenetevi lontani questi uomini e lasciatili stare; perché, se questo disegno o quest’opera è dagli uomini, sarà distrutta; ma se è da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio” (vv.38-39).

Qui arriviamo al nocciolo del discorso. Come il sommo sacerdote prima, così anche Gamaliele dice più di quanto intenda. Vuole prevenire che succeda qualcosa che potrebbe veramente sfociare nel tipo di disastro che i capi religiosi dicono di voler evitare nell’arrestare gli apostoli. Se il sinedrio reagisse con la violenza, però, potrebbe provocare un intervento altrettanto violento da parte delle autorità romane. Inoltre, la cautela di Gamaliele ha senso; l’esperienza ha già insegnato che, se il movimento apostolico non è divinamente motivato, verrà meno come sempre avvenuto in passato. Non c’è bisogno di intervenire con la violenza, perché esso si spegnerà da solo.

Tuttavia, Gamaliele dà testimonianza, forse involontariamente e a sua insaputa, del potere e dell’autenticità del vangelo. A differenza di Teuda (v.36) e di Giuda il Galileo (v.37), entrambi dei quali sono morti e di conseguenza i loro movimenti hanno fallito, Gesù, dopo essere morto, è stato risuscitato ed esaltato in cielo, e questo da parte di Dio che ha fatto tutto “con la sua destra” (v.31). Nel confrontare Teuda e Giuda il Galileo con Gesù, Gamaliele in effetti rileva il potere di quest’ultimo in quanto Gesù non è rimasto nella tomba, e dopo la sua morte “tutti quelli che gli avevano dato ascolto” non “furono dispersi e ridotti a nulla” (vv.36-37). Anzi, come Luca riporta al v.14, alla comunità cristiana “sempre di più si aggiungevano uomini e donne in gran numero che credevano al Signore”.

I capi religiosi, dunque, si trovano veramente a “combattere contro Dio” in quanto si oppongono allo stesso Gesù che avevano fatto crocifiggere ma che Dio ha risuscitato e fatto sedere come “Principe e Salvatore” di tutti. Come i loro sforzi di bloccare e di sconfiggere la testimonianza apostolica sono sempre risultati inutili finora, così continueranno a risultare inutili, poiché lo stesso Gesù ha promesso che non solo a Gerusalemme ma fino all’estremità della terra il vangelo dovrà essere predicato. Questa volta, saranno i capi religiosi a finire come Teuda e Giuda il Galileo: periranno, e tutto quello che rappresentano sarà ridotto a nulla. Essi sono “gli otri vecchi” che non riescono a contenere il fermento del “vino nuovo” del vangelo, il quale li farà scoppiare. Il fermento del vangelo ha già fatto scoppiare gli otri vecchi delle credenze dei sadducei, che, in quanto negavano l’esistenza degli angeli, non erano in grado di spiegare come gli apostoli erano stati liberati dalla prigione. Nello stesso modo, il fermento del vangelo continuerà a spandersi, facendo scoppiare ogni prigione e abolendo ogni impedimento al disegno del Signore Gesù.

5. L’onore del disonore (Atti 5:26, 40-42)

26 Allora il capitano, con le guardie, andò e li condusse via, senza far loro violenza, perché temevano di essere lapidati dal popolo.

40 Essi furono da lui convinti; e chiamati gli apostoli, li batterono, ingiunsero loro di non parlare nel nome di Gesù e li lasciarono andare. 41 Essi dunque se ne andarono via dal sinedrio, rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù. 42 E ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo.

Dobbiamo essere incoraggiati da questa narrativa alla stessa ubbidienza dimostrata dagli apostoli nei confronti dei loro avversari. Come Luca ci fa vedere l’inettitudine e l’impotenza dei capi religiosi, così ci fa vedere anche l’effetto concreto della loro disubbidienza rispetto all’ubbidienza degli apostoli. Al v.26, il capitano e le guardie mandati dai sadducei per arrestare di nuovo gli apostoli “li condusse via, senza far loro violenza, perché temevano di essere lapidati dal popolo”. Che forte contrasto è questo con la reazione degli apostoli, i quali non solo continuavano a predicare impavidi, ma dopo essere stati menati e ulteriormente minacciati, “se ne andarono via dal sinedrio, rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù” (v.41). Come si fa a intimidire gente che, più la si perseguita, più essa si rallegra? Se la violenza e la minaccia di morte non fanno che incoraggiare le persone a perseverare, cosa si può fare per fermarle?

Ecco il potere di quelli che ubbidiscono “a Dio anziché agli uomini”, a cui Dio ha dato il suo “Spirito Santo” (vv.29, 32). È lo stesso potere che ha risuscitato Gesù dalla morte e lo ha elevato in cielo come Signore di tutti. Questo è il potere dei testimoni di Gesù che, pur essendo gente semplice, poco istruita, di poco conto sociale e mancando di qualsiasi autorità ufficiale, sono invincibili. Questo non vuol dire, chiaramente, che sono immortali o immuni alla sofferenza. Gli otri vecchi non vogliono scoppiare, e fanno di tutto per rovinare il vino nuovo che lo fa. La persecuzione è dura, e i cristiani non verranno sempre liberati dalla prigione. Stefano, come già accennato prima, verrà lapidato a morte al capitolo 7 di Atti. Al capitolo 8, tutta la chiesa a Gerusalemme sarà “devastata”, “uomini e donne” trascinati dalle loro case e imprigionati (v.3) e gran parte della comunità sarà dispersa “per le regioni della Giudea e della Samaria” (v.1).

Tuttavia, come Luca ci farà vedere sempre al cap.8, neanche la persecuzione costituisce una sconfitta, ma piuttosto un ulteriore adempimento della diffusione del vangelo verso l’estremità della terra. Il punto è che quando si ubbidisce a Dio anziché agli uomini, si può considerare un onore l’essere disonorati per il nome di Gesù. Dal punto di vista umano, questo non ha senso, ma è quello che rendeva, e rende tuttora, la comunità cristiana imbattibile nonostante la persecuzione. Se siamo convinti che Dio sta dalla nostra parte (perché in realtà stiamo noi dalla sua parte in quanto ubbidiamo a lui), non dobbiamo avere paura di niente o di nessuno. Poiché gli apostoli erano decisi di ubbidire a Dio anziché agli uomini, sapevano di essere “più che vincitori”, anche nel caso Dio non li avesse liberati. Per loro, era una gioia “essere oltraggiati per il nome di Gesù”, perché l’oltraggio era la prova che gli appartenevano e gli assomigliavano. In quanto venivano maltrattati come Gesù, potevano rallegrarsi di partecipare alle sofferenze del Salvatore e di avere la garanzia della stessa risurrezione ed eredità.

Lo stesso Pietro che ha dato testimonianza davanti al sinedrio ha scritto tanti anni dopo la seguente esortazione nella sua prima lettera:

4:12 Carissimi, non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. 13 Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. 14 Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. 15 Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui; 16 ma se uno soffre come cristiano non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome.

Avendo molto sofferto egli stesso per il nome di Gesù, Pietro sapeva perfettamente che, pur essendo un onore, non è facile soffrire come cristiano senza vergognarsene. Ecco perché chiude la sua lettera con la seguente benedizione, la quale sembra una conclusione molto appropriata anche a questo sermone:

5:10 Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. 

Amen!

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