Marco 4: Il mistero del regno di Dio

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1. Introduzione (Marco 4:1-2, 13)

1 Gesù si mise di nuovo a insegnare presso il mare. Una gran folla si radunò intorno a lui. Perciò egli, montato su una barca, vi sedette stando in mare, mentre tutta la folla era a terra sulla riva. 2 Egli insegnava loro molte cose in parabole, e diceva loro nel suo insegnamento:… 13 Poi disse loro: «Non capite questa parabola? Come comprenderete tutte le altre parabole?

1.1. Una parabola sulle parabole

Per comprendere bene i vangeli, è indispensabile sapere comprendere le parabole. Incontriamo spesso le parabole negli insegnamenti di Gesù, e secondo egli stesso, esse rivelano il “mistero del regno di Dio”. Tuttavia, le parabole sono un po’ “ingannevoli” nel senso che a primo sguardo appaiono molto semplici, ma dopo ulteriori riflessioni risultano molto più difficili. Se mai le parabole di Gesù ci lasciano perplessi, questo non è effetto casuale: Gesù stesso dichiara che le parabole mirano a rivelare, sì, ma in modo tale che venga nascosto a molti ciò che viene rivelato.

Gesù, però, non ci lascia senza un aiuto. A “chi ha orecchi per udire”, Gesù provvede a dare la chiave di comprensione nella forma della parabola del seminatore, o dei quattro terreni. In Marco 4:13, Gesù spiega che capire questa parabola è necessario per capire poi tutte le altre. La parabola del seminatore, dunque, è una “meta-parabola”, ovvero una parabola sulle parabole. Tra le varie lezioni che possiamo imparare da questa parabola, è Gesù stesso a indicare la cosa principale che dobbiamo trarne, spiegando il motivo sorprendente per cui, in questo momento del suo ministero, comincia a non parlare alla gente “senza parabola” (Marco 4:34).

1.2. Il riassunto dell’argomento

Il motivo — e il riassunto dell’argomento di oggi — è il seguente: le parabole sono storie che creano la realtà che raccontano, la realtà del regno di Dio che contraddice tutto ciò che pensiamo riguardo a come il mondo reale funziona. Le parabole prendono spunto dal mondo come lo osserviamo, sì, ma poi lo capovolgono e descrivono una realtà completamente contraria. Però, ciò che distingue le parabole da qualsiasi altra storia di fantasia o di realtà alternative — come, per esempio, Guerre stellari o Avatar — è che nel momento in cui vengono raccontate, le parabole portano all’esistenza la realtà che narrano, in modo che il mondo che pensiamo di conoscere diventi sempre meno reale nei loro confronti. Avete mai sentito dire: “la verità è più strana della finzione”? Le parabole sono una “finzione più vera della realtà”.

1.3. Il contesto (4:3-9, 14-20)

La parte veramente critica di questo capitolo è ai vv.10-12, la “carne” del famoso “panino” narrativo, piazzato tra le due fette di pane, che sono la parabola stessa (vv.3-9) e la sua spiegazione (vv.14-20). Per mangiare questo panino, vogliamo arrivare fino alla carne in mezzo, ma per farlo dobbiamo prima imboccare le due fette di pane che la racchiudono. Quindi, procediamo con la lettura della parabola:

3 «Ascoltate: il seminatore uscì a seminare. 4 Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli vennero e lo mangiarono. 5 Un’altra cadde in un suolo roccioso dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; 6 ma quando il sole si levò, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. 7 Un’altra cadde fra le spine; le spine crebbero e la soffocarono, ed essa non fece frutto. 8 Altre parti caddero nella buona terra; portarono frutto, che venne su e crebbe, e giunsero a dare il trenta, il sessanta e il cento per uno». 9 Poi disse: «Chi ha orecchi per udire oda»…

Accantonando per il momento i versetti chiave, saltiamo al v.14 e leggiamo adesso la spiegazione della parabola:

14 Il seminatore semina la parola. 15 Quelli che sono lungo la strada sono coloro nei quali è seminata la parola; e quando l’hanno udita, subito viene Satana e porta via la parola seminata in loro. 16 E così quelli che ricevono il seme in luoghi rocciosi sono coloro che, quando odono la parola, la ricevono subito con gioia; 17 ma non hanno in sé radice e sono di corta durata; poi, quando vengono tribolazione e persecuzione a causa della parola, sono subito sviati. 18 E altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine; cioè coloro che hanno udito la parola; 19 poi gli impegni mondani, l’inganno delle ricchezze, l’avidità delle altre cose, penetrati in loro, soffocano la parola, che così riesce infruttuosa. 20 Quelli poi che hanno ricevuto il seme in buona terra sono coloro che odono la parola e l’accolgono e fruttano il trenta, il sessanta e il cento per uno».

Ora, la parabola, con l’aiuto della spiegazione di Gesù, non deve risultare troppo ostica. Il seminatore rappresenta chi semina “la parola”, che qui significa la predicazione del regno di Dio (Marco 1:14-15). Gesù è sicuramente il seminatore per eccellenza, però manderà anche gli apostoli a fare la stessa cosa (3:13-15). Le varie reazioni alla parola del regno di Dio vengono simboleggiata dai quattro terreni diversi che, nella maggioranza dei casi e per motivi vari, non ricevono la parola in maniera fruttuosa. Ciò che dimostra l’effettiva ricezione della parola nel cuore di una persona non è tanto l’apertura iniziale ma la maturità che si sviluppa col tempo e il frutto che si produce con perseveranza e costanza.

Da questo possiamo capire una prima ragione per cui Gesù racconta la parabola del seminatore a questo punto nel suo ministero. Finora, la predicazione di Gesù non ha portato i frutti che ci saremmo aspettati. Ecco il Messia — promesso da Dio e tanto desiderato dagli ebrei, la cui via è stata preparata da Giovanni il battista e la cui identità è stata ampiamente confermata dai suoi prodigi di guarigioni e di esorcismi — eppure è stato più volte rifiutato da molti, soprattutto dagli esperti e dai dottori delle Scritture che avrebbero dovuto in primis riconoscere Gesù come Messia.

Quale spiegazione può essere data per questo stranissimo fatto? Se Gesù fosse veramente il Messia, non dovrebbe invece essere acclamato come tale dalla maggioranza? La parabola, con la sua descrizione dei vari tipi di terreni, scava sotto la superficie e rivela ciò che giace nel profondo del cuore umano — l’influenza del maligno, l’amore degli idoli, l’ipocrisia religiosa — che impedisce alla parola di compiere la sua opera. Gesù viene rifiutato non perché non sia il Messia, ma perché il terreno del cuore umano non è in grado di riceverlo in modo fruttuoso.

Dire questo, però, è solo una parte della verità. Se la ragione per l’apparente inefficacia della parola fosse solo questa, susciterebbe un’altra difficoltà: perché allora è la parola impotente nei confronti del cuore umano? Se l’efficacia della parola dipende dalla ricettività del terreno, siamo praticamente tutti nei guai. Se la parola non è in grado di creare la propria ricezione nei vari terreni, che speranza c’è per la maggioranza dell’umanità? Alla fine, qual è più potente: la parola o il peccato? Questa domanda ci porta alla “carne” di questo capitolo dove Gesù rivela la ragione principale per cui viene rifiutato e il ruolo delle parabole nel suo ministero.

2. Il mistero del regno di Dio (Marco 4:10-12)

10 Quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. 11 Egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole, affinché: 12 “Vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non comprendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati”».

2.1. Il regno di Dio è un mistero

 La prima indicazione che la parabola del seminatore ha lasciato gli ascoltatori di Gesù confusi è che i suoi discepoli (“quelli che gli stavano intorno con i dodici”) “lo interrogarono sulle parabole”, indicando così la loro incomprensione. Anziché rimanere scoraggiato per non aver insegnato con chiarezza, Gesù risponde, non subito con una spiegazione della parabola, ma piuttosto con una dichiarazione un po’ enigmatica sul perché delle parabole.

Innanzitutto, Gesù afferma che le parabole — come i suoi insegnamenti in generale — concernono il regno di Dio. Questa volta, però, Gesù aggiunge che il regno di Dio è fondamentalmente un “mistero”. Questo, di per sé, non dovrebbe stupirci. Nel vangelo, abbiamo già visto come Gesù spesso vieta agli altri di non rivelare la sua identità, di tenerla nascosta (3:12).

In più, Gesù costantemente delude e rovescia le aspettative della gente che lo circonda, specialmente i leader religiosi. Così viene da loro accusato di bestemmia, di associarsi a peccatori, di non osservare le loro tradizioni, di infrangere il sabato e, infine, di operare mediante il potere di Satana (Marco 2-3). Solo in base alle reazioni, dovremmo concludere che agli occhi dei suoi contemporanei, Gesù era una figura molto misteriosa, se non proprio pericolosa.

Tutto questo conferma ciò che Gesù asserisce riguardo al “mistero del regno di Dio” in Marco 4:11. Lungi dal risolvere le perplessità della gente, Gesù dice in effetti che le parabole servono a conservare, se non addirittura intensificare, questo mistero, perché “a voi [discepoli] è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole”. Le parabole, in altre parole, sono una pessima strategia di marketing in quanto non sono destinate a guadagnare a Gesù nuovi “follower” ma piuttosto a rafforzare le divisioni che si stanno già formando attorno a lui. A quelli a cui è dato di conoscere il mistero del regno di Dio, le parabole lo rivelano, mentre a quelli a cui non è dato di conoscere il mistero del regno di Dio, le parabole lo nascondono.

2.2. Il mistero della grazia di Dio

 Se il v.11 ci lascia sconvolti, non troveremo il v.12 di nessun aiuto. Se Gesù non fosse già abbastanza chiaro, quello che dice al v.12 toglierebbe ogni dubbio: “tutto viene esposto in parabole, affinché: ‘Vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non comprendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati’”. Gesù non potrebbe essere più categorico per quanto riguarda le sue intenzioni. “A quelli che sono di fuori”, le parabole fanno sì che la gente non discerna, non comprenda, non si converta e non sia perdonata. Ma come? Gesù non forse contraddice ciò che altri passi biblici affermano circa il desiderio di Dio che “tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2:4)?

La risposta a questa domanda è duplice, di cui la prima parte deriva proprio dal “mistero del regno di Dio”. Per dirla breve, il regno di Dio è il regno della grazia. Poiché la grazia non rispetta i meriti ma opera proprio nei confronti di chi non n’è degno, capovolge tutto ciò che pensiamo relativo al moco in cui il mondo funziona. Nel regno di Dio, non è la malattia ma la salute che è contagiosa (Marco 1:40-45). Non è il capo della sinagoga che Gesù si ferma per aiutare ma una donna impura (5:21-33). Non è la sufficienza del pane a sfamare la moltitudine ma il potere di Dio di fare l’impossibile (6:30-44). Non sono i più grandi a essere i più grandi ma invece i più piccoli, i più bassi, i servi di tutti (10:42-44). Non sono i ricchi a essere benedetti, ma i generosi che danno quello che hanno agli altri (10:17-22). Nel regno di Dio, chi cerca di salvarsi la vita la perderà, e chi la perde perché rinuncia a se stesso e prende la sua croce per seguire Gesù la salverà.

Ora, tutte queste cose sono diametralmente opposte all’apparente realtà in cui viviamo la quotidianità. Ecco perché il regno di Dio è un mistero, incomprensibile alla maggior parte delle persone. Le parabole non fanno eccezione. Anzi, esse sono parte integrante dell’irruzione del regno di Dio nel nostro mondo in quanto fanno arrivare la realtà che descrivono. La parabola del seminatore, per esempio, descrive una realtà in cui gli inclusi vengono esclusi, mentre gli esclusi vengono inclusi. Nella parabola, i terreni infruttuosi rappresentano coloro che hanno appena attributo il potere di Gesù a Satana, e anche i parenti di Gesù che dicevano di lui: “È fuori di sé” (3:20-30). Questi sono quelli che “sono di fuori” a cui le parabole nascondono il mistero del regno di Dio. Ciò che stupisce, però, è che questi, considerati dal punto di vista religioso, sociale o anche umano, dovrebbero invece essere quelli di dentro!

Dall’altro canto, Gesù dice che i suoi veri parenti sono quelli che fanno “la volontà di Dio” (3:34). Tra questi sono, per esempio, dei semplici pescatori (uomini di poco conto culturale), peccatori come Levi il pubblicano e altri “malati” ed emarginati della società (1:16-20; 2:13-17). Questi sono coloro ai quali “è dato di conoscere il mistero del regno di Dio”. Quindi, vediamo come Gesù ridefinisca completamente cosa vuol dire essere “inclusi” ed “esclusi”, e come questa ridefinizione sovverta completamente tutte le nostre idee di meriti e di demeriti, di grande e di piccolo, di buono e di cattivo, di giusto e di ingiusto. Questa, in sintesi, è il mistero della grazia di Dio. In quanto le parabole creano e rafforzano questa ridefinizione, non solo descrivono la realtà del regno di Dio ma la realizzano in mezzo a quella vecchia.

Così, scopriamo la prima parte della risposta alla domanda: perché Gesù racconta parabole per dividere la gente tra “inclusi” ed “esclusi”? Lo fa per dimostrare che il mistero del regno di Dio è il mistero della grazia di Dio che dichiara guerra contro tutta la saggezza e tutta la sapienza umana. Se a questo punto nel suo ministero, Gesù non facesse questa distinzione, gli inclusi “per diritto”, come i leader religiosi e i suoi parenti, avrebbero di che vantarsi: “certo che Gesù ci abbia rivelato il mistero del regno di Dio, perché ne siamo degni!”.

Per far capire che il regno di Dio è un regno di grazia, Gesù deve non solo chiamare i “peccatori” ma deve anche allontanare coloro che si reputano i “giusti” (2:17) in modo che gli unici che comprendono il mistero del regno di Dio siano quelli a cui “è dato” per grazia. Solo così sarà evidente che “non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia” (Romani 9:16). Siccome le parabole fanno vedere questa distinzione, sono assolutamente indispensabile alla rivelazione del mistero del regno di Dio.

2.3. La vocazione di Isaia (Isaia 6)

Ho detto, però, che questa è solo la prima parte della risposta, perché manca ancora qualcosa di fondamentale: le parabole, come la grazia, non esclude gli inclusi solo per lasciarli sempre così. Quando questi si accorgono di non essere in realtà degni del regno di Dio, giungono finalmente al punto in cui sono pronti a ricevere la grazia. Ad aiutarci a vedere questo, dobbiamo tornare al profeta Isaia, che Gesù ha citato per spiegare il motivo delle parabole. Leggiamo il sesto capitolo di Isaia nella sua interezza:

1 Nell’anno della morte del re Uzzia, vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. 2 Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava. 3 L’uno gridava all’altro e diceva: «Santo, santo, santo è il SIGNORE degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!» 4 Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta dalla voce di loro che gridavano, e la casa fu piena di fumo. 5 Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il SIGNORE degli eserciti!» 6 Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall’altare. 7 Mi toccò con esso la bocca, e disse: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato».

8 Poi udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? E chi andrà per noi?» Allora io risposi: «Eccomi, manda me!» 9 Ed egli disse: «Va’, e di’ a questo popolo: “Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!” 10 Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!» 11 E io dissi: «Fino a quando, Signore?» Egli rispose: «Finché le città siano devastate, senza abitanti, non vi sia più nessuno nelle case, e il paese sia ridotto in desolazione; 12 finché il SIGNORE abbia allontanato gli uomini, e la solitudine sia grande in mezzo al paese. 13 Se vi rimane ancora un decimo della popolazione, esso a sua volta sarà distrutto; ma, come al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti, rimane il ceppo, così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa».

In questo brano, Isaia riferisce la sua vocazione come profeta, un’esperienza drammatica e indimenticabile, quando ha avuto la visione del Signore nel tempio. Isaia rimane scosso fino in fondo per essersi trovato, lui un peccatore, in presenza del tre-volte-santo Dio. Anziché essere annichilato, Isaia viene purificato per pura grazia, e quando poi il Signore chiede chi manderà come profeta, Isaia si offre subito perché sa di non appartenere più a se stesso ma esclusivamente al Dio che gli ha mostrato misericordia. Già l’esempio personale di Isaia illustra la dinamica dell’operazione della grazia.

Isaia non è preparato, però, per quanto segue. La sua vocazione sarà di parlare al popolo in modo da (e qui c’è la parte citata da Gesù) renderlo insensibile e incredulo affinché non si converta e non sia guarito. Quando Isaia chiede fino a che punto deve svolgere questo pesante compito, Dio gli indica che sarà “finché le città siano devastate, senza abitanti… e il paese sia ridotto in desolazione”, quando del popolo rimanga solo un residuo come rimane solo un ceppo quando un albero viene tagliato. Qui vediamo un chiaro parallelismo con il ministero di Gesù e lo scopo delle parabole. Non è che la parola seminata sia più debole del peccato. Quando la parola rende il cuore più duro ancora, anche questo è parte della sua opera che compie infallibilmente.

 2.4. Il ceppo e il ramo (Isaia 11:1-10)

Più avanti in Isaia, però, riappare l’immagine del ceppo, e scopriamo qual è il suo fine più grande. Leggiamo al capitolo 11:

1 Poi un ramo uscirà dal tronco d’Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici. 2 Lo Spirito del SIGNORE riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del SIGNORE. 3 Respirerà come profumo il timore del SIGNORE, non giudicherà dall’apparenza, non darà sentenze stando al sentito dire, 4 ma giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l’empio. 5 La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi. 6 Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. 7 La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli si sdraieranno assieme, e il leone mangerà il foraggio come il bue. 8 Il lattante giocherà sul nido della vipera, e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente. 9 Non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo, poiché la conoscenza del SIGNORE riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare. 10 In quel giorno, verso la radice d’Isai, issata come vessillo dei popoli, si volgeranno premurose le nazioni, e la sua residenza sarà gloriosa.

Nel suo ruolo limitato, Isaia doveva parlare in modo da confondere e non chiarire, rovinare e non redimere. Ma da quel piccolo ceppo rimasto, Dio avrebbe fatto spuntare un ramo che sarebbe diventato un albero la cui ombra sarebbe distesa in tutta la terra. Questo ramo, il Messia, avrebbe instaurato un regno universale di pace e di giustizia in cui tutte le nazioni sarebbero state benedette.

Questo, dunque, è lo scopo finale delle parabole nel ministero di Gesù. Nell’immediato, mirano a dividere e ad allontanare la gente, facendo capire che il regno di Dio non è un diritto o un premio ma un dono di grazia. Ma una volta ridotto il popolo a un ceppo — alla fine del vangelo vediamo infatti che è solo Gesù che rimane, senza pure i discepoli, perché solo lui è in grado di espiare i peccati del mondo — quel ceppo diventerà un albero tanto grande che persino gli esclusi (che prima erano gli inclusi) potranno essere inclusi di nuovo per fede. Non è questo il significato della parabola che Gesù racconta al 4:30-32?

30 Diceva ancora: «A che paragoneremo il regno di Dio, o con quale parabola lo rappresenteremo? 31 Esso è simile a un granello di senape, il quale, quando lo si è seminato in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; 32 ma quando è seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi; e fa dei rami tanto grandi, che all’ombra loro possono ripararsi gli uccelli del cielo».

Le parole dell’apostolo Paolo in Romani 11: azzeccano perfettamente l’argomento:

30 Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, 31 così anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia. 32 Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti.

In quanto le parabole compiono proprio questo, non solo comunicano il mistero del regno di Dio ma lo attuano in mezzo ai regni del mondo.

3. Conclusione: Due esortazioni (Marco 4:24-29)

Qual è, dunque, la nostra responsabilità nei confronti di queste parabole? È lo stesso Gesù che ci dice come dobbiamo reagire:

3.1. Badate a ciò che udite (4:24-25)

24 Diceva loro ancora: «Badate a ciò che udite. Con la misura con la quale misurate sarete misurati pure voi; e a voi sarà dato anche di più; 25 poiché a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».

Poiché la parola frutta in base al tipo di terreno che la riceve, Gesù ci esorta a badare a ciò che udiamo. Se non ascoltiamo quello che sentiamo (ovvero la misura con la quale misuriamo), non possiamo aspettarci di sentire ancora di più. Ecco perché la nostra più grande responsabilità è verso la Scrittura, perché è in essa che il Signore ci parla e ci rivela Gesù Cristo. Se non ascoltiamo quella, ci “sarà tolto anche quello che [abbiamo]”.

3.2. Gettate il seme senza sapere come (4:26-29)

26 Diceva ancora: «Il regno di Dio è come un uomo che getti il seme nel terreno, 27 e dorma e si alzi, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce senza che egli sappia come. 28 La terra da se stessa porta frutto: prima l’erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. 29 Quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l’ora della mietitura è venuta».

In secondo luogo, dobbiamo essere fedeli nel gettare il seme nel terreno, a prescindere dal tipo di terreno che troviamo davanti. Non ci spetta individuare con che tipo di terreno abbiamo a che fare; questa è la funzione della parola stessa. La parola opera, “germoglia e cresce” senza che sappiamo come. Una volta ricevuta la parola, abbiamo la responsabilità di seminarla altrove, e in questo modo fruttiamo “il trenta, il sessanta e il cento per uno”, dimostrando così di aver veramente ricevuto la parola in noi come il buon terreno.

Amen!

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