Luca 18: Ricevere il regno come un bambino

Gustave_Dore_-_Jesus_Blessing_the_Children_illustration_from_Dores_The_Holy_Bible_engraved_by_P_-_(MeisterDrucke-100692).jpg

1. Introduzione

Gesù non smette mai di sorprenderci. Anche al capitolo 18 del vangelo di Luca, dopo che i discepoli lo seguono da circa tre anni, trascorrendo ogni giorno accanto a lui a vederlo operare e a sentirlo insegnare, essi rimangono perplessi da ciò che il Maestro dice. Questa è l’esperienza comune anche di tutti i discepoli di Gesù fino a oggi. Se Gesù non ci sorprende più, è perché non lo ascoltiamo più. Come dimostra il vangelo ripetutamente, nel momento in cui uno pensa di aver inquadrato Gesù e di averlo capito fino in fondo, egli fa qualcosa per rompere gli schemi e sconvolgere tutto, esattamente come ha fatto nel tempio rovesciando le tavole dei mercanti. E così deve essere, perché (senza togliere nulla dalla sua piena umanità) solo un Salvatore radicalmente diverso da noi sarebbe in grado di salvarci. Un salvatore che la pensa come noi non sarebbe offensivo, certo, ma non sarebbe neanche in grado di salvarci dai nostri modi corrotti di pensare.

Quindi, come afferma Paolo in Romani 12:2, gran parte della vita cristiana consiste nell’essere “trasformati mediante il rinnovamento della [nostra] mente, affinché [conosciamo] per esperienza quale sia la volontà di Dio”. Questo processo di trasformazione non è facile ma è indispensabile al diventare conformi all’immagine di Gesù, il più grande scopo e desiderio di ogni vero discepolo.

Il capitolo 18 del vangelo di Luca ci illustra come infatti sia difficile il rinnovamento della nostra mente, ma non dobbiamo presumere di sapere già perché è così. Come sempre, Gesù capovolge le nostre aspettative, e dobbiamo venire per ascoltarlo “a mani vuote”, cioè senza pretese o idee già fatte di quello che ha da insegnarci. Come vediamo in questo testo, infatti, la chiave di comprensione è una sorta di ingenuità nei confronti di Gesù, proprio come un bambino nei confronti dei suoi genitori. Molti pensano che per comprendere il vangelo — e per estensione tutta la parola di Dio — bisogna essere istruiti, bisogna avere una grande formazione scolastica alle spalle, oppure bisogna aspettare che qualcuno istruito e ben formato glielo spieghi. Secondo il sorprendente insegnamento di Gesù in questo capitolo di Luca, nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Per entrare nel regno di Dio, bisogna essere invece come bambini.

2. L’incomprensione dei grandi (Luca 18:31-34)

31 Poi, prese con sé i dodici, e disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e saranno compiute riguardo al Figlio dell’uomo tutte le cose scritte dai profeti; 32 perché egli sarà consegnato ai pagani, e sarà schernito e oltraggiato e gli sputeranno addosso; 33 e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno; ma il terzo giorno risusciterà». 34 Ed essi non capirono nulla di tutto questo; quel discorso era per loro oscuro, e non capivano ciò che Gesù voleva dire.

L’abitudine dell’incomprensione

La prima cosa da notare in Luca 18 è l’incomprensione dei “grandi” esemplificata in due modi diversi. Al v.34, sono i discepoli che, quando Gesù gli spiega che cosa sta per accadere — il tradimento, la crocifissione, la risurrezione — “essi non capirono nulla di tutto questo” perché “quel discorso era per loro oscuro, e non capivano ciò che Gesù voleva dire”. Non è la prima volta che i discepoli non riuscivano a capire ciò che Gesù voleva dire; quando al capitolo 9 Gesù gli ha predetto la stessa cosa riguardo alla sua morte, Luca riferisce che:

45 Ma essi non capivano queste parole che erano per loro velate, così da risultare incomprensibili, e temevano di interrogarlo su quanto aveva detto.

Senza ripercorrere tutti gli esempi (di cui ci sono tanti, e non solo relativi al destino del Messia), possiamo tranquillamente concludere che i discepoli dimostravano l’abitudine dell’incomprensione. Più volte o non capivano l’insegnamento di Gesù o ne travisavano il significato. E questi erano quelli che stavano con Gesù letteralmente giorno e notte a sentire ogni parola che usciva dalla sua bocca!

Ora, una possibile reazione potrebbe essere questa: se loro avevano difficoltà a comprendere Gesù, figuriamoci noi! Questa conclusione avrebbe una certa logica, è vero, ma sarebbe una logica del tutto sbagliata alla luce del resto del capitolo.

La non ancora avvenuta risurrezione

Prima di considerarlo, voglio aprire una piccola parentesi per precisare un punto importante. Senza minimizzare ciò che impareremo studiando questo capitolo, è anche necessario renderci conto che, nel contesto generale del vangelo di Luca e del suo seguito, il libro di Atti, la piena comprensione della persona e dell’opera di Gesù doveva aspettare la sua risurrezione e la discesa dello Spirito Santo per dare illuminazione alle menti degli apostoli. Così leggiamo alla fine del vangelo, al capitolo 24:

44 Poi [Gesù] disse [ai discepoli]: «Queste sono le cose che io vi dicevo quando ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi». 45 Allora aprì loro la mente per capire le Scritture e disse loro: 46 «Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno…

Le Scritture non si possono capire veramente senza che il Signore ci apra la mente per capirle. Ma il punto da sottolineare più volte è il seguente: proprio per questo motivo, non dobbiamo affatto concludere che bisogna diventare dottori di teologia per comprendere la parola di Dio. Tale nozione sarebbe diametralmente opposta a ciò che Gesù qui afferma: non dipende dalle capacità umane, ma piuttosto dall’illuminazione che solo Dio dà. Detto ciò, proseguiamo nello studio.

La responsabilità di comprendere (18:18-27)

18 Uno dei capi lo interrogò, dicendo: «Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 19 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. 20 Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio; non uccidere; non rubare; non dir falsa testimonianza; onora tuo padre e tua madre». 21 Ed egli rispose: «Tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia gioventù». 22 Gesù, udito questo, gli disse: «Una cosa ti manca ancora: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 23 Ma egli, udite queste cose, ne fu afflitto, perché era molto ricco. 24 Gesù, vedendolo così triste, disse: «Quanto è difficile, per quelli che hanno delle ricchezze, entrare nel regno di Dio! 25 Perché è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio». 26 Quelli che udirono dissero: «Chi dunque può essere salvato?» 27 Egli rispose: «Le cose impossibili agli uomini sono possibili a Dio».

Il secondo esempio di un “grande” che non comprende Gesù è “uno dei capi” dei giudei. Sappiamo dagli altri vangeli che egli era un “giovane ricco”, e anche Luca ci dirà, al v.23, che “era molto ricco”. Ma dobbiamo stare attenti ai particolari della narrativa come Luca la presenta, senza andare a chiedere in prestito dettagli da altri vangeli come se Luca non ce ne avesse fornito abbastanza. Luca ha uno scopo ben preciso, e ci dice esattamente ciò che vuole farci sapere. Non ci presenta questo interlocutore di Gesù come un “giovane ricco”, ma piuttosto come “uno dei capi”. Questo è importante, perché stabilisce così un contrasto (che fra poco approfondiremo) con i bambini, cioè i piccoli. Luca vuole che riflettiamo sul confronto tra un “grande”, “uno dei capi”, e i piccoli, i bambini.

Come appena detto, vediamo in questo personaggio un altro esempio di incomprensione nei confronti di Gesù. Ora, qualcuno potrebbe replicare: “Ma egli sembra capire Gesù perfettamente, perché quando Gesù gli dice di vendere tutto quello che ha e distribuirlo ai poveri, rimane triste a causa delle sue ricchezze. Se non ha capito, perché allora risponde al comando di Gesù in questo modo?”

È vero che, in un senso, il capo ricco ha capito Gesù. Ha capito che doveva vendere tutti i suoi beni e dare il ricavato ai poveri, e perciò c’è rimasto male perché non voleva farlo. Però, sin dall’inizio del suo incontro con Gesù, vediamo indicazioni che non comprende, sul livello più profondo, con chi ha a che fare. Si rivolge a Gesù chiamandolo “Maestro buono”, al quale Gesù ribatte dicendo: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio”. Questo non è da intendere come se Gesù negasse la sua natura divina. Piuttosto, Gesù fa quello che C.S. Lewis spiega ne “Il cristianesimo così com’è” (p.80):

Un uomo che fosse soltanto un uomo e dicesse le cose che diceva Gesù non sarebbe un grande maestro morale. Sarebbe un pazzo — alla pari di uno che affermi di essere un uomo in camicia — oppure sarebbe il diavolo in persona…. O quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio; o altrimenti era un folle o peggio ancora. Possiamo rinchiuderlo come pazzo, possiamo coprirlo di sputi e ucciderlo come demonio; o possiamo cadere ai Suoi piedi e chiamarLo Signore e Dio. Ma non ce ne usciamo con condiscendenti assurdità sul Suo essere un grande maestro umano. Gesù non ci ha lasciato questa scappatoia.

Il resto della conversazione segue come un effetto a catena; poiché il capo non comprende di essersi rivolto non a un maestro buono ma al Figlio di Dio, quello che Gesù gli dice di fare gli risulta altrettanto incomprensibile. Non riesce a comprendere (e quindi un’altra incomprensione!) che avere “un tesoro in cielo” ha infinitamente più valore di tutte le sue ricchezze terrene. E infine, non comprende che la ricchezza più grande è Gesù stesso, così che quando Gesù lo chiama di diventare un suo discepolo, ne rimane deluso. Da incomprensione nasce incomprensione, e da incomprensione nasce l’incapacità di entrare nel regno di Dio.

Il punto, però, è che il capo aveva la responsabilità di comprendere. Gesù non giustifica la sua incomprensione dicendo: “Eh, va bene, tanto non sono ancora risuscitato dai morti e lo Spirito Santo non è ancora disceso!”. Quando afferma, al v.24, che “è difficile, per quelli che hanno delle ricchezze, entrare nel regno di Dio”, sottintende comunque che il capo avrebbe dovuto seguire il suo comando e, nonostante la difficoltà nel farlo, sarà tenuto responsabile per la sua disubbidienza.

Quelli che hanno sentito questa conversazione, però, sono rimasti sconvolti, perché se (come si credeva allora, e sovente si crede tuttora!) i ricchi sono benedetti da Dio e hanno difficoltà nell’entrare nel regno, che speranza c’è per tutti gli altri? Così la loro domanda al v.26: “Chi dunque può essere salvato?” Gesù, lungi dall’incoraggiarli dicendo: “Dai, forza, ce la farete!”, esaspera ancora di più il problema, dichiarando che non è solo difficile, ma proprio impossibile agli uomini salvarsi! Ma quando si esaurisce la forza umana, subentra la forza di Dio che può ogni cosa: “Le cose impossibili agli uomini sono possibili a Dio”.

La possibilità di comprendere (18:35-43)

35 Com’egli si avvicinava a Gerico, un cieco che sedeva presso la strada, mendicando, 36 udì la folla che passava, e domandò che cosa fosse. 37 Gli fecero sapere che passava Gesù il Nazareno. 38 Allora egli gridò: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!» 39 E quelli che precedevano lo sgridavano perché tacesse; ma lui gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!» 40 Gesù, fermatosi, comandò che il cieco fosse condotto a lui; e, quando gli fu vicino, gli domandò: 41 «Che vuoi che io ti faccia?» Egli disse: «Signore, che io ricuperi la vista». 42 E Gesù gli disse: «Ricupera la vista; la tua fede ti ha salvato». 43 Nello stesso momento ricuperò la vista, e lo seguiva glorificando Dio; e tutto il popolo, visto ciò, diede lode a Dio.

Passiamo dunque dall’impossibilità umana alla possibilità divina. Dopo l’incomprensione dei “grandi”, dal capo ricco ai discepoli, uno potrebbe veramente disperarsi. E molti lo fanno, infatti, persino credenti, reputandosi incapaci di capire il vangelo e la parola di Dio, e persi senza qualche aiuto “professionale”. Però, se ascoltiamo attentamente Luca 18, rigetteremo subito quest’idea, in primis perché questi esempi illustrano come neanche i “professionisti” siano una garanzia (è impossibile agli uomini!), e secondo perché Gesù afferma chiaramente che tutto è possibile a Dio!

L’esempio che segue dell’uomo cieco serve come dimostrazione della possibilità divina. Certo, la comprensione di quest’uomo è solo embrionale in questo momento; non ha la conoscenza di un Paolo che scrive la lettera ai Romani. Ma resta il fatto che la sua è una comprensione vera e valida, e Gesù risponde alla sua fede con la guarigione. Importante notare che per lui, Gesù non è solo un “maestro buono”, come per il capo ricco, ma “Figlio di Davide”, ovvero il Messia. In realtà, “Figlio di Davide” è, nel mondo concettuale dell’Antico Testamento, un sinonimo di “Figlio di Dio” (a.es. 2 Samuele 7:12-16).

La profondità della comprensione dell’uomo cieco si manifesta nell’assiduità con cui prega Gesù, gridando sempre più forte nonostante i rimproveri della folla. Se fosse stato un po’ indeciso su chi è Gesù, probabilmente avrebbe smesso di farlo per l’imbarazzo o per la vergogna. Ma siccome riconosce Gesù come “Figlio di Davide” e perciò come “Figlio di Dio”, grida sempre più forte, convinto che Gesù, e solo Gesù, è in grado di liberarlo dalla sua infermità. Da questo, Luca vuole che vediamo la vera possibilità di comprendere Gesù, la giustificazione di quanto Gesù ha detto che mentre agli uomini salvarsi è impossibile, a Dio tutto è possibile. Se il capo ricco e gli stessi discepoli sono un esempio dell’impossibilità umana, l’uomo cieco è un esempio della possibilità divina. Qual è, dunque, la cosa a fare la differenza? La risposta è, come sempre quando si ha a che fare con Gesù, sorprendente.

3. La comprensione dei piccoli (Luca 18:15-17)

15 Portavano a Gesù anche i bambini, perché li toccasse; ma i discepoli, vedendo, li sgridavano. 16 Allora Gesù li chiamò a sé e disse: «Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. 17 In verità vi dico: chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto».

Il mondo capovolto

Come l’ennesima prova dell’incomprensione dei discepoli, vediamo come essi si oppongano (forse un po’ ironicamente) all’unica possibilità di poter comprendere. Tentano di impedire che i bambini si avvicinino a Gesù, tanto i bambini sono solo un disturbo a un grande come Gesù che ha interessi ben più importanti di cui occuparsi. Non è questo simile all’atteggiamento che a volte abbiamo nei confronti di Dio, quando pensiamo che i nostri problemi possano essere troppo piccoli da interessare al Signore che deve gestire l’intero universo? Tutto ciò deriva proprio dalla stessa incomprensione sulla natura di Dio e del suo regno, che rovescia sempre tutte le nostre aspettative.

Così, i discepoli che sgridavano quelli che portavano i bambini a Gesù si trovano essi stessi sgridati da Gesù proprio perché non hanno ancora capito che “il regno di Dio è per assomiglia a loro”. Come nel regno di Dio i primi sono gli ultimi e gli ultimi i primi (Luca 13:30), e come abbiamo visto nello studio su Luca 14-15, i primi invitati al banchetto del regno sono coloro che se lo meritano di meno, così anche qui Gesù afferma che il suo regno è proprio per i piccoli. Anzi, non è solo che il regno di Dio è prima per i piccoli e poi per i grandi; Gesù va oltre quando asserisce che “chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto.”

Un contrasto voluto

Questo contrasto tra i piccoli e i grandi non è casuale ma voluto, sia da Gesù sia da Luca che ha strutturato le narrative di questo capitolo in modo ben preciso. Quando leggiamo al v.25 le parole di Gesù che “è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio”, l’intenzione di Luca è che colleghiamo questo a quanto detto prima che “chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino non vi entrerà affatto”. In entrambi i casi, la posta in gioco è la possibilità di entrare nel regno di Dio, e si mettono al confronto due “vie”, una giusta e l’altra sbagliata, che vi portano. Da questo confronto, dobbiamo concludere che se il capo ricco non è entrato nel regno di Dio, è perché non l’ha accolto come un bambino. Se non ha compreso Gesù, è perché non ha avuto la comprensione di un bambino, quella che aveva invece l’uomo cieco.

È utile ricordare che questa non è la prima volta nel vangelo di Luca dove si evidenzia il contrasto tra la piccolezza dei bambini, da un lato, e l’incomprensione dei grandi dall’altro. Al capitolo 9, l’incomprensione dei discepoli è similmente correlata all’insegnamento di Gesù sui bambini:

9:44 «Voi, tenete bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». 45 Ma essi non capivano queste parole che erano per loro velate, così da risultare incomprensibili, e temevano di interrogarlo su quanto aveva detto. 46 Poi cominciarono a discutere su chi di loro fosse il più grande. 47 Ma Gesù, conosciuto il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo pose accanto e disse loro: 48 «Chi riceve questo bambino nel nome mio, riceve me; e chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato. Perché chi è il più piccolo tra di voi, quello è grande».

Interessante, no? Anche qui, dopo che Luca riporta che i discepoli non capivano la predizione di Gesù della sua morte, riferisce subito come Gesù gli presenta un bambino per insegnargli che “chi è il più piccolo tra di voi, quello è grande”. Poi, al capitolo 10, Gesù rivela il filo conduttore che lega insieme tutto questo discorso:

10:21 In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto! 22 Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno sa chi è il Figlio, se non il Padre; né chi è il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo».

Chi cerca di entrare nel regno di Dio da “grande” — come il capo ricco e i discepoli a questo punto — non lo comprenderà, mentre quelli che lo ricevono da “piccoli”, lo comprenderanno e vi entreranno. Ma questo non è perché, in qualche strano modo, i piccoli sono più intelligenti dei grandi, come se dipendesse sempre da qualche caratteristica umana. No, il punto è che solo i piccoli comprendono e ricevono il regno di Dio perché è solo a loro che Dio ha voluto rivelarlo! Se comprendere il vangelo del regno è impossibile agli uomini e possibile solo a Dio, vuol dire che “nessuno sa chi è il Figlio, se non il Padre; né chi è il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”. Ed è stato il piacere di Dio di nascondere il regno “ai sapienti e agli intelligenti”, ossia ai “grandi”, e di rivelarlo invece ai “piccoli”, esemplificati dai bambini.

Se, dunque, comprendere ed entrare nel regno di Dio richiede che uno lo accolga “come un bambino”, noi che siamo “grandi” dobbiamo diventare “piccoli”. Ma che cosa vuol dire diventare piccoli, e come si fa? La risposta è qui, sempre in Luca 18.

Diventare piccoli

Sono varie le ipotesi su cosa significa “accogliere il regno di Dio come un bambino”, di solito derivate da esperienze personali che uno ha avuto nei confronti dei bambini. Il problema con quest’approccio, tuttavia, è che le conclusioni differiscono in base alle proprie esperienze: per alcune persone, bambini sono carini e innocenti, mentre per altre sono sporchi e fastidiosi. Per capire bene quello che Gesù volevo effettivamente dire, bisogna lasciare che il testo biblico lo spieghi.

Abbiamo già notato che Luca contrappone “accogliere il regno di Dio come un bambino” alla difficoltà “per quelli che hanno delle ricchezze di entrare nel regno di Dio”. Il significato del primo si rivela nel contrasto con il secondo. Che cosa impedisce ai ricchi di entrare nel regno? Possiamo metterla così: i ricchi non possono ricevere il regno perché hanno già le mani piene di cose! I bambini, d’altro canto, possono ricevere il regno perché hanno le mani vuote; dipendono per tutto dai genitori. In questo senso bisogna diventare come un bambino, proprio come Gesù ha detto al capo ricco di vendere i suoi beni, affinché avesse così le mani vuote per poter ricevere ciò che Gesù voleva dargli. In realtà, il capo ricco era già pieno anche in un altro senso: credeva di aver soddisfatto i requisiti della legge. Quindi, nel rinunciare ai suoi beni, doveva anche rinunciare alla propria giustizia da cui dipendeva per entrare nel regno di Dio.

Per contro, l’uomo cieco era come un bambino in quanto ha espresso la dipendenza totale e fiduciosa da Gesù. Sapeva di non poter guarire se stesso, di essere impotente e bisognoso, e come un bambino, dunque, non ha smesso di chiedere finché non ha ricevuto da Gesù la guarigione. Il bambino insiste perché sa di avere bisogno ma di essere incapace di soddisfare il proprio bisogno, e quindi si rivolge al proprio genitore a mani vuote. Così ha fatto l’uomo cieco, esattamente come un bambino. Questo è cosa significa vivere di grazia, non di opere.

Tutto questo spiega come dobbiamo (e possiamo) comprendere la parola di Dio. Comprendere come un bambino vuol dire ricevere “a mente vuota”, essere ingenui nei confronti della parola. Spesso non è che non comprendiamo la parola, ma piuttosto ciò che comprendiamo si scontra con ciò che pensiamo. Questo è stato il problema dei discepoli. Non è che non siano riusciti a capire il senso delle parole che Gesù usava circa la sua morte e la sua risurrezione; non sono riusciti a far quadrare le parole di Gesù con ciò che credevano già riguardo al destino del Messia. Come il capo ricco con tutti i suoi tesori, avevano già le menti piene di idee su chi fosse e cosa dovesse fare il Messia. Anziché semplicemente ricevere “a mente vuota” l’insegnamento di Gesù, hanno provato a farlo combaciare con i loro schemi mentali preesistenti. Non erano “ingenui” nei confronti della parola; non volevano semplicemente ricevere ciò che Gesù diceva senza metterlo in discussione e in dubbio.

Comprendere la parola di Dio come bambini non significa, dunque, essere stupidi o rimanere semplici nel nostro pensare. Maturare nella fede richiede una sempre più profonda conoscenza della parola. Ma questa conoscenza cresce nella misura in cui rinunciamo alle idee che abbiamo già e riceviamo semplicemente quello che la parola ci dà. In questo modo, dipendiamo dalla grazia di Dio non solo per quanto riguarda la nostra salvezza, ma anche per quanto riguarda la nostra comprensione della parola e la nostra maturazione nella fede.

4. Conclusione

In questo capitolo di Luca, i discepoli non hanno fatto una bella figura, e li abbiamo visti, in gran parte, come esempio negativo. Ma l’immagine dei discepoli non è del tutto negativa, e mentre del capo ricco non se ne vede più traccia, i discepoli alla fine comprendono le parole di Gesù e non solo: diventano i testimoni apostolici i cui insegnamenti costituiscono tuttora le fondamenta della fede cristiana. La differenza principale tra i discepoli e il capo ricco si manifesta ai vv.28-31, che adesso consideriamo per concludere.

28 Pietro disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti abbiamo seguito». 29 Ed egli disse loro: «Vi dico in verità che non c’è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli per amor del regno di Dio, 30 il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo, e nell’età futura la vita eterna». 31 Poi, prese con sé i dodici, e disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…

Per tutti i loro fallimenti, i discepoli si sono distinti dal capo ricco in questo senso: hanno scelto di rinunciare a tutto e di seguire Gesù. E anche quando, al v.31, Gesù ha cominciato a predire ciò che gli sarebbe successo, i discepoli, pur non comprendendo, sono saliti comunque con Gesù a Gerusalemme. Questo è la caratteristica del vero discepolo: non che capisca tutto, ma che continua a seguire Gesù anche quando (e forse soprattutto quando!) non capisce.

Questa è la vera fede, che non deve avere sempre la certezza di ciò che crede, che non deve comprendere fino in fondo ogni tema biblico o organizzare un esauriente sistema teologico. Certo, non smette mai di imparare, di cercare, di meditare, di approfondire. Ma sa convivere con la tensione e il dubbio, sapendo che non è giustificata dalle proprie capacità di comprendere ma da quelle di chi è il suo autore e che la rende perfetta.

Come sappiamo di essere salvati non dalla nostra ubbidienza ma dall’ubbidienza di Gesù al nostro posto (che si chiama l’ubbidienza vicaria di Gesù), e come sappiamo che persino la fede di Gesù è vicaria (così che quando la nostra fede è debole, dipendiamo da quella di Gesù che è sempre forte), così sappiamo che quando non capiamo, Gesù capisce per noi. Possiamo chiamarla la sua “conoscenza vicaria”. Io non capisco tutto, ma Gesù capisce per me, in quello posso trovare riposo. Quanto è grande il nostro Salvatore, che in tutto e per tutto egli è tutto ciò di cui abbiamo bisogno! Uniti a lui, possiamo essere veramente come dei bambini — a mani vuote e anche a menti vuote — sapendo che il nostro Padre celeste si prende cura di noi, e nella sua presenza, nulla ci manca.

Amen!

Lascia un commento